Il commento

Quel debito senza freno

A guidare la corsa del debito pubblico, dando il cattivo esempio, sono proprio le due maggiori economie mondiali, gli Stati Uniti e la Cina
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
26.04.2025 06:00

Per molti Paesi, compresi alcuni di grande rilievo economico, la riduzione del debito pubblico sembra essere un tema non prioritario o addirittura un capitolo da dimenticare. Dopo il picco di indebitamento toccato nel 2020 pandemico la parola d’ordine condivisa da molti era il ritorno graduale almeno ai livelli del 2019, pre virus. Ma in tanti casi il percorso di rientro si è interrotto. Parliamo qui di debito pubblico perché, pur senza sottovalutare il rischio del debito privato eccessivo, l’indebitamento degli enti pubblici riguarda tutti i contribuenti e non solo una parte. Inoltre, è soprattutto il livello del debito pubblico a determinare il grado di affidabilità di uno Stato, e dunque dei suoi titoli, nel rapporto con i mercati.

Le stime rese note nei giorni scorsi dal Fondo monetario internazionale (FMI) indicano che il rapporto debito pubblico/Prodotto interno lordo mondiale quest’anno sarà al 95,1%; se la tendenza rimarrà la stessa, nel 2030 sarà al 99,6%, a un passo dal 100%. Vale la pena di ricordare che nel 2019 era all’83,8%. Le previsioni sono legate allo scenario di base, gli stessi esperti dell’FMI però spiegano che se il quadro globale dovesse peggiorare – ad esempio con una escalation nella guerra dei dazi – il rapporto potrebbe salire sino al 117% già nel 2027. L’FMI ha ridotto le sue previsioni sulla crescita economica mondiale, portandola dal 3,3% al 2,8% per il 2025; ma, se la situazione dovesse farsi più pesante nel contrasto sui dazi, la crescita sarebbe ancor più rallentata. Aumentando meno il PIL, e continuando invece ad aumentare in modo non secondario il debito pubblico, le cose chiaramente peggiorano.

È auspicabile che non vi sia un’escalation nella guerra dei dazi varata dal presidente USA Trump. Ma già così, senza essere al massimo dello scontro (con la Cina il conflitto è acuto, con altri per ora meno, vedremo), si può dire che gli effetti negativi sulla crescita si cominciano a vedere e che il freno al debito per molti ora non esiste. A guidare la corsa del debito pubblico, dando il cattivo esempio, sono proprio le due maggiori economie mondiali, gli Stati Uniti e la Cina. Gli USA quest’anno sono al 122,5%, contro il 108,2% del 2019; la Cina è al 96,3% quest’anno, contro il 59,4% del 2019. Ci sono Paesi che hanno indebitamenti ancor più elevati – basti pensare tra gli altri, a valori 2025, all’astronomico 234,9% del Giappone e all’ingente 137,3% dell’Italia – ma è impressionante vedere l’insistenza con cui i due giganti globali, pur nelle loro diversità, continuano ad aumentare il debito pubblico. Ad agire nella direzione contraria, quella della riduzione dell’indebitamento, è solo un plotone di Paesi e tra questi fortunatamente c’è la Svizzera, che secondo l’FMI per il 2025 ha un rapporto debito pubblico/PIL del 36,9%, basso in assoluto e anche inferiore al 39,6% del 2019.

Ci sono fasi in cui è inevitabile alzare l’indebitamento, lo abbiamo visto durante la pandemia. Ma occorre poi rientrare, il trend di fondo non deve essere quello dell’incremento del debito. Un indebitamento pubblico più alto può aiutare l’economia e il sistema Paese in determinate situazioni di marcata difficoltà, ma nel lungo periodo tende a danneggiare entrambi, perché gli oneri del debito sottraggono risorse da destinare a una crescita economica più solida e perché i titoli dello Stato sono esposti a turbolenze sui mercati. Chissà se almeno qualche Paese in più riconoscerà questi elementi di base, così come il fatto che il debito va ridotto soprattutto tagliando le spese pubbliche improduttive, non aumentando una pressione fiscale che in tanti casi è già alta. In molte parti del mondo, comunque, per ora vale la regola del dimenticatoio.