Cultura

Quella mappa del mondo sinonimo di civiltà

L’editoriale di Matteo Airaghi
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Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
02.09.2020 06:00

L’ultimo l’hanno recuperato un paio di giorni fa dal vicolo di un noto nucleo medievale del nord Italia. Cercava un ristorante e la fede nelle indicazioni del navigatore satellitare è stata più forte di qualsiasi perplessità oggettiva. Quando anche la tracotanza del suo SUV superaccessoriato ha dovuto arrendersi ai muraglioni del XII secolo che la stavano aprendo come una scatoletta di tonno, alla fine si è arreso, è uscito dal tettuccio e mentre con uno scavatore i soccorritori liberavano le sue, un tempo semoventi, lamiere contorte ai carabinieri che gli chiedevano spiegazioni ha farfugliato: «Scusate, sono debole in geografia. Avevo anche una mappa stradale ma non sapevo come interpretarla». D’altronde scenette simili ormai non fanno quasi più notizia: la nostra Penudria fin dal primo brusco tornante fa regolarmente strage di TIR che si arenano come giganteschi capodogli spiaggiati (e non soltanto di quelli con targhe belghe o polacche) ma dovrebbero indurre almeno a un paio di riflessioni. Perché se da una parte si evidenzia una volta di più la nostra scellerata tendenza a lasciare che la tecnologia si faccia beffe degli ultimi barlumi di buonsenso intelligente che il nostro tempo ci concede (per sapere se piove o se fa freddo non guardo fuori dalla finestra ma mi fido dell’accuratissimo radar sul sito «in tempo reale» così anche se c’è il sole mi vesto con le pellicce di orso e il colbacco stile Totò e Peppino alla Stazione Centrale di Milano, «Ma quale caldo? Qui non può fare caldo!») dall’altra sconcerta prendere atto di quanto il totale disinteresse per la geografia ci ha reso nel giro di qualche decennio del tutto incapaci di leggere (e di apprezzare) il mondo in cui viviamo.

Monti, laghi, fiumi, mari, colline, boschi, confini, borghi, strade, ponti: osservare tutto come se si fosse per aria e rappresentarlo su una mappa nei minimi dettagli badando alle distanze, ai rilievi, alle proporzioni. Disegnare la realtà, illuminarla, conoscerla, dargli ordine: uno dei più antichi sogni dell’uomo invece di trarre beneficio dagli sbalorditivi strumenti che oggi ci vengono messi a disposizione sembra non interessare più a nessuno, quasi che l’accesso individuale a Google Maps ci abbia tolto, fin dalle preoccupazioni scolastiche, un peso e un impiccio. Per questo, ad esempio, scalda il cuore sfogliando l’elenco dei Corsi per adulti del nostro Cantone scoprire che esiste un meraviglioso corso base di «cartografia e orientamento con la bussola» che si propone di trasmettere le conoscenze di base necessarie per la lettura di una cartina topografica o approfondire l’impegno inesausto dei docenti di geografia nelle nostre scuole o le benemerite attività dell’associazione GEA che riunisce gli specialisti presenti nella Svizzera italiana e che da venticinque anni si prodiga per diffondere la cultura geografica nella nostra realtà locale. Perché la geografia è cultura e perché una mappa può raccontarci o indurci a scoprire il nostro mondo e la nostra quotidianità, dall’indirizzo di un ristorante alle conseguenze di una pandemia, dalla capanna alpina che vogliamo finalmente raggiungere alle ragioni per cui in questo territorio si parla italiano ma si è cittadini svizzeri e potremmo continuare a lungo anche in un’epoca omologante che pretende di annullare distanze e specificità. Chi la ignora o la snobba accusa spesso la geografia di essere obsoleta perché superata dall’innovazione tecnologica e non utile, perché non c’è più nulla da scoprire ed esplorare. Come se l’antropologia non avesse più senso di esistere perché «non ci sono più primitivi».

Eppure la geografia, come ogni disciplina scientifica, si innova di continuo aggiornando oggetto di studio e linguaggi. E lo fa anche in ragione delle proprie specifiche competenze (il linguaggio della «geograficità») e dei suoi peculiari ambiti di studio e insegnamento, a cominciare dal territorio. Proprio quel territorio in cui la specie umana ha (nel bene e nel male) trasformato l’ambiente con il più importante e primordiale atto «geografico» della nostra civiltà. Emarginarla o far finta che si tratti soltanto di uno sterile esercizio di apprendimento mnemonico dei nomi dei fiumi e della loro lunghezza, delle catene montuose con le più alte vette o delle capitali con il numero dei loro abitanti significa dimenticare che essa rappresenta un’essenziale conoscenza dell’ambiente esterno, cui nessun essere umano può rinunciare. Tutto ciò che ci circonda, fa parte della nostra vita: conoscerlo, capirne il senso, le origini e le possibilità d’incidenza sulle vicende d’ogni giorno è esperienza preziosa per vivere meglio. E per imparare ad annusare, toccare, respirare, camminare, guardare e amare il mondo anche senza doverci affidare ad una macchina più stupida e cieca di noi.