L'analisi

Sanremo 2025: nonostante tutto, ha vinto (ancora) Amadeus

Carlo Conti, pur annacquando il Festival nel tentativo di allinearlo all'attuale clima politico, ha potuto beneficiare dell'hype generato dal suo predecessore: si spiegano (anche) così i dati Auditel
Marcello Pelizzari
16.02.2025 10:30

Alla fine, dunque, ha vinto Olly. Senza strafare, forse, al netto di una canzone – Balorda nostalgia – capace di fare breccia anche fra i cosiddetti boomer e, quindi, in linea con l’era Carlo Conti, apertasi all’insegna del rischio zero o, per dirla con il collega Paolo Galli, di un certo vuoto. Alla vigilia di questo Sanremo 2025 ci eravamo detti che, indipendentemente dai gusti personali, sarebbe andata bene. Se non benissimo. E, in effetti, dati Auditel alla mano questo Festival della canzone italiana è stato un successo. Anche istituzionale, se vogliamo, nella misura in cui il governo Meloni ha ottenuto una marcata normalizzazione dell’evento.

Un successo, certo, non privo di critiche e criticità, a cominciare dalla solita, annosa questione. Divisiva ancorché centrale: è giusto, pensando proprio a Olly e al suo peso social ma anche agli esclusi eccellenti, Giorgia e Achille Lauro in testa, dare così tanto potere all’arma del televoto? Sì, no, forse. I fischi dell’Ariston, nell’annunciare la classifica, di sicuro hanno segnato una (netta) divisione fra la platea, a occhio più vicina ai gusti di sala stampa e giuria delle radio, e la pancia del Paese, volendo usare un’espressione abusata e forse non comprensiva, appunto, delle dinamiche social. Che Olly e Fedez, rimanendo ai cinque finalisti, potessero spostare voti è fuori discussione. Lamentarsene, tuttavia, è strumentale e non necessariamente corretto, a maggior ragione se l’obiettivo è affermare – ad minchiam, avrebbe detto il professor Franco Scoglio – che «era meglio prima».

Non sarebbe nemmeno giusto, al di là di una direzione criticata e ovviamente criticabile, proprio perché figlia di una chiara linea politica, addossare ogni colpa a Carlo Conti. Sì, è stato un Sanremo per molti versi floscio e senza acuti, con ospiti annacquati e decisi a non solleticare il potere – salvo alcune rare eccezioni (Geppi Cucciari) – e artisti uniformati nel portare avanti messaggi impegnati fino a un certo punto. Ma, attenzione, non è stato un Sanremo così diverso dai precedenti, a firma Amadeus. Quantomeno nella scelta del cast artistico. Le polemiche attorno al (ristretto) numero di autori dei brani, capaci di arrivare anche sul Palco in maniera del tutto casuale grazie ad alcune esternazioni di Alessia Marcuzzi a proposito di Blanco, ad esempio non sono una novità assoluta. Anzi, è stato proprio Amadeus a creare o comunque favorire questo cortocircuito. Lo stesso dicasi per Marta Donà, la manager che, Olly compreso, nelle ultime cinque edizioni ha vinto quattro volte grazie a Måneskin, Marco Mengoni e Angelina Mango. Possibile che ce ne accorgiamo soltanto adesso?

Lanciamo una provocazione, al riguardo. Che tanto provocazione non è: in fondo, a ben vedere, e facendo appunto astrazione dall’annacquamento dello show nel nome di una sbandierata unità nazionale («Tutta l’Italia tutta l’Italia» vi dice nulla?), il vero vincitore di questo Festival è proprio Amadeus. Carlo Conti, in un anno di transizione verso chissà che cosa, verosimilmente verso Alessandro Cattelan un domani pensando come detto a certi legami stretti, ha semplicemente raccolto i frutti seminati lungo il cammino dall’oramai ex volto della Rai. Amadeus, nelle cinque edizioni precedenti, ha lavorato sodo per ridare centralità al Festival, riportandolo fra gli appuntamenti immancabili del Paese e, con i dovuti paragoni, del Ticino. Di qui, immaginiamo, i dati Auditel monstre.

Il vero banco di prova, unendo i puntini, sarà dunque il prossimo Festival: Conti non beneficerà più dell’effetto Amadeus e dovrà uscire dalla sua comfort zone – fatta di gag rassicuranti ma anestetizzate – per mantenere alta l’attenzione su Sanremo. Ci riuscirà? Da inguaribili ottimisti quali siamo, oseremmo dire di sì. Ma potremmo finire per soffrire anche noi di una «balorda nostalgia» pensando a un amore svanito, quello per Amadeus e il suo meraviglioso carrozzone.

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