Sanremo 2025, tanti auguri a Carlo Conti il «normalizzatore»
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Andrà bene? Ma sì. Andrà bene. Perfino benissimo, forse. Oh, però non c’è più Amadeus. E Carlo Conti pare un po’, come dire, ancien régime. Può darsi, intanto però il cast artistico è di tutto rispetto. E, soprattutto, abbastanza in linea con le direzioni passate. Tant’è che è stata soddisfatta, in parte, pure la cosiddetta quota trap per quanto «ripulita». Quindi, finitela e finiamola con le turbe e le seghe mentali: ci aspetta un Festival della canzone italiana, più comunemente Festival di Sanremo o, in breve, solo e soltanto Sanremo, sulla scia di quelli passati. Bello, dunque. Danzereccio, se possibile, al di là di un’apertura più marcata verso il cantautorato. Ché Conti mica è scemo, d’altronde, è un po’ come quegli allenatori che arrivano dopo un ciclo vincente. Tocca il meno possibile e spera di non fare danni. Già. Chiamatelo il normalizzatore.
Qualche danno, invero, è già stato fatto. Ma parliamo di rischi e guai calcolati, finanche voluti. Perché a contare, in definitiva, è che si parli di Sanremo. Nel bene e nel male. Perfino di striscio, come nel caso di Emis Killa ritiratosi dalla kermesse perché è stato iscritto nel registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta sugli ultras di Inter e Milan. Dici che Fedez, Achille Lauro e Tony Effe si metteranno a litigare sul palco dell’Ariston per via di Chiara Ferragni? Boh. E se poi qualcuno mena le mani? Di nuovo: boh. Guai e rischi più o meno calcolati, anche nel loro caso.
D’accordo, però Carlo Conti si metterà a fare politica sì o no? Non proprio, anche se ci saranno le consuete finestre istituzionali. Ah, poi Israele e Palestina dialogheranno in musica, sulle note di Imagine di John Lennon. Pazienza se ai più sembrerà retorico o, peggio, inutile rispetto alla situazione in Medio Oriente. In ogni caso, anche gli interventi degli ospiti ed extra musicali finiranno nel tritacarne. Oddio, le critiche dei vari salotti pomeridiani e della stampa? Esatto. Vabbè, folklore più che tritacarne.
Nell’attesa che si accendano le luci sulla prima serata, proprio Conti ha fatto del maniavantismo spinto. Spiegando che no, gli ascolti non sono tutto e, ancora, che in fondo non sarebbe giusto fare paragoni con il lungo regno di Amadeus. Di più, si è definito cattolico e antifascista. Dando così un colpo al cerchio e uno alla botte. O, se preferite, allargando il consenso il più possibile. Il tutto, si badi, rivendicando una piena libertà artistica al grido «non ho subito alcuna pressione politica». Intanto, però, di monologhi non ne vedremo. Ufficialmente perché, ipse dixit, «ho preferito sintetizzare il più possibile».
Carlo Conti il normalizzatore, dicevamo. E forse pure un pochino paraculo, come quando ha detonato in partenza la polemica sui testi di Tony Effe: «Nell’educazione dei figli non voglio demandare tutto alla televisione o ai cantanti. Ci sono i genitori che devono fare la loro parte». Di nuovo, un rischio calcolato: in un modo o nell’altro, grazie anche alla penetrazione social di Sanremo 2025, Tony Effe arriverà ai giovani e ai meno giovani. E spetterà appunto ai genitori, se caso, intervenire. Non alla direzione artistica, che semmai mantiene la posizione dell’ovosodo di virziniana memoria: né su né giù.