Commento

Si scrive recessione, si legge ossessione

Se si dovessero sommare tutte le volte in cui se ne è parlato nelle cronache economiche, la recessione annua mondiale avrebbe dovuto esserci non una ma almeno due o tre volte
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
16.08.2024 06:00

Se si dovessero sommare tutte le volte in cui la parola recessione in questi anni è comparsa nelle cronache economiche, come previsione o addirittura come fattore già esistente, ebbene la recessione annua mondiale avrebbe dovuto esserci non una ma almeno due o tre volte. Invece, in contrasto con quella che per molti sembra essere ormai un’ossessione, la realtà è stata ed è diversa. Dopo un 2020 negativo, perché segnato dalla caduta pandemica, nei tre anni successivi l’economia mondiale è rimasta in area crescita, pur con alcuni inevitabili rallentamenti, e questo 2024 per quel che si è visto sinora si sta avviando ad essere un altro anno di aumento del Prodotto interno lordo globale. Certo, sarebbe ancor meglio un incremento più marcato del PIL, questo è ovvio, ma con il peso di tensioni geopolitiche e guerre non è un risultato di poco conto l’aver evitato una recessione internazionale.

Parliamo qui appunto di recessione annua, quindi relativa al complesso dell’anno, e non della cosiddetta recessione tecnica, data da due trimestri consecutivi di segno negativo per il PIL. Questo concetto tecnico è in sé discutibile (perché due trimestri?) e comunque, anche volendo mantenerlo, va detto che si tratta di oscillazioni, di momenti di passaggio che non sempre si traducono in recessione annua. Ciò che più conta, per poter fare una valutazione realistica, è il segno del PIL per almeno un anno intero. E una valutazione equilibrata del quadro è importante per capire in quale direzione si sta davvero andando. Bisogna naturalmente sempre agire per evitare recessioni, ma bisogna anche riconoscere quando l’economia sta registrando una tenuta complessiva, magari come in questo caso anche dribblando nei limiti del possibile il fardello della geopolitica.

I dati disponibili su quanto accaduto nel secondo trimestre di quest’anno, dunque sino a fine giugno, indicano che la crescita economica è stata ancora robusta negli Stati Uniti (di nuovo, i recenti timori su una prossima recessione USA appaiono fuori luogo) ed è stata moderata nell’Unione europea e nel Regno Unito. Moderata, ma crescita. Ci sono Paesi dell’UE incappati in una recessione tecnica, ma sono pochi, il PIL dell’area nel complesso ancora sale. Dalle prime anticipazioni sulla Svizzera emerge una crescita non grande ma comunque significativa visto il contesto. La Cina rallenta, ma mantiene il segno chiaramente positivo per il PIL. Il Giappone è tra quanti si battono direttamente contro la recessione, ma nel secondo trimestre è andato un po’ meglio del previsto, almeno per alcuni aspetti.

Il Fondo monetario internazionale ha pubblicato l’aggiornamento delle sue previsioni non più tardi di luglio. Per il 2024 l’FMI prevede una crescita mondiale del 3,2%, dopo il 3,3% archiviato per il 2023. Nessuna delle economie principali, compresa quella tedesca, dovrebbe avere il segno negativo annuo. Gli USA dovrebbero aumentare il loro PIL del 2,6%, dopo il 2,5% del 2023. L’Eurozona dovrebbe crescere dello 0,9%, dopo lo 0,5% dell’anno scorso. L’economia del Regno Unito dovrebbe salire dello 0,7%, dopo lo 0,1% del 2023. Il Giappone pure dovrebbe registrare uno 0,7%, dopo l’1,9% dell’anno passato. La Cina dovrebbe attestarsi al 5%, dopo il 5,2% del 2023. Ricordiamo che per la Svizzera la Segreteria di Stato dell’economia nel giugno scorso ha indicato un aumento del PIL (corretto dagli eventi sportivi) dell’1,2%, contro l’1,3% dell’anno scorso.

Il quadro come si vede non è da recessione annua internazionale e a dirlo non è solo il Fondo monetario internazionale, ci sono molte altre istituzioni economiche di rilievo che descrivono un contenuto rallentamento economico, che non sta trasformandosi nel segno negativo per l’economia mondiale. Gli esperti di queste istituzioni sono tutti incompetenti o addirittura in malafede? Francamente risulta difficile crederlo. È più facile, e anche più realistico, pensare invece che l’ossessione della recessione di molti pessimisti sia legata a schemi ideologici in cui le cose vanno sempre al peggio, in cui le catastrofi sono sempre imminenti e se non è questa volta sarà la prossima. Il fatto è che quasi sempre non è questa volta e nemmeno sarà la prossima. Ciò non significa naturalmente che tutto vada bene e che non ci siano problemi. Ci sono sia problemi sia cose che vanno bene, l’importante è riconoscere che esistono entrambi questi versanti e poi individuare la tendenza di fondo. Il mondo è andato avanti perché il trend prevalente, al di là degli alti e dei bassi di varia durata, è alla crescita. Soprattutto quando le economie vengono lasciate libere di procedere, in un quadro certo di regole ma senza ostacoli eccessivi.

Con una crescita economica rallentata ma lontana dalla recessione, con l’inflazione e i tassi di interesse in seppur graduale discesa, con mercati del lavoro che in molti casi stanno tenendo più di quanto fosse stato previsto, la situazione non è sicuramente da catastrofe. Certo, la geopolitica pesa e se questo fardello fosse minore le cose andrebbero decisamente meglio. Ed è vero che l’obiettivo per i prossimi anni è quello di rendere il passo più sostenuto, di avere insomma percentuali di crescita media annua più consistenti. Ma per migliorare occorre prendere come base le cose già ottenute. Negarle è sbagliato e non serve.