Commento

Simone Biles, il mondo è tuo

Smarrita e sfiduciata dopo i Giochi di Tokyo, la ginnasta è tornata: per sé stessa, non per gli altri
Fernando Lavezzo
03.08.2024 06:00

Il World Champions Center di Spring, a nord di Houston, in Texas, è il centro d’allenamento di Simone Biles, la ginnasta più forte e influente di sempre, fenomeno di esplosività, controllo, tecnica, creatività. Fondata nel 2014 dalla sua famiglia, l’accademia ospita diverse altre atlete olimpiche, ma anche corsi per bambini e programmi per la comunità. Sulle pareti della palestra, spicca il motto della casa: «Il mondo è tuo!». Giovedì a Parigi, il mondo è davvero tornato ai piedi di Biles, oro nel concorso multiplo. Due giorni dopo il titolo a squadre e otto anni dopo i trionfi di Rio. Da oggi, la 27.enne statunitense andrà a caccia di altre tre medaglie nei singoli attrezzi. Nel 2021, ai Giochi di Tokyo, la storia era diversa. Il mondo, Simone, se lo sentiva sulle spalle. Come la statua di Atlante che lei stessa cita nella docuserie di Netflix dedicata alla sua rinascita. In Giappone, durante la gara a squadre, la mente e il corpo di Biles si sconnessero. E la luce si spense. Perdita dell’orientamento negli avvitamenti, sensazione di stordimento, voglia di fuggire dallo stadio. Dopo un errore al volteggio, l’allora 24.enne decise di ritirarsi dalla competizione a squadre. Nei giorni seguenti, Biles rinunciò a quattro gare individuali su cinque. In un’Olimpiade diversa da tutte le altre, organizzata in piena pandemia, con l’isolamento sociale, gli spalti vuoti e la famiglia lontana, emersero tutti i demoni di Simone. La pressione mediatica, le aspettative, la solitudine, i commenti velenosi degli «haters», i trascorsi famigliari. Da piccola, abbandonata dal padre, Simone venne tolta alla madre biologica, che abusava di alcol e droga. Dopo un periodo in affidamento, a 3 anni venne adottata dai nonni, diventati legalmente suoi genitori. Senza dimenticare la ferita più profonda, quella degli abusi sessuali, subiti da lei e da centinaia di giovani ginnaste americane, commessi dall’ex medico della nazionale Larry Nassar, condannato a 176 anni di reclusione. «Ho sofferto e continuo a soffrire perché nessuno dell’FBI, di USA Gymnastics, del Comitato Olimpico americano ha fatto ciò che era necessario per proteggerci», dirà Biles nel settembre del 2021 davanti alla commissione di Giustizia del Senato.

Sfiduciata, smarrita, spaventata, dopo i Giochi nipponici Simone decise di fermarsi, di prendersi cura di sé, di liberarsi di tutta la zavorra, di quei pesi mai affrontati prima. Nel contempo, mandò un messaggio importante. Il suo ritiro a Tokyo aprì infatti il dibattito (e gli occhi) sul tema della salute mentale degli sportivi, troppo spesso considerati macchine perfette, troppo spesso schiavi della retorica del «non mollare mai». Un concetto che può anche avere risvolti positivi nelle discipline di squadra, nelle quali viene esaltato lo spirito di gruppo, del sostegno reciproco, ma che può diventare un macigno negli sport individuali. A maggior ragione nella ginnastica, disciplina praticata da adolescenti che, in molti casi, hanno rinunciato alla loro infanzia, crescendo in ambienti fatti di regole rigide e a volte vittime – è successo anche in Svizzera – di abusi fisici e psicologici. Biles ha parlato pubblicamente del suo «problema invisibile» e ha fatto un passo indietro. Dimostrando che essere resilienti, a volte, significa sapersi fermare prima che sia troppo tardi, per poi provare a ripartire dalle basi.

«Dopo Tokyo, credevo che non avrei mai più gareggiato», ha detto Simone Biles. Poi, un passo alla volta, è tornata. Per sé stessa, non per gli altri. «Lo scrivo io il mio finale», afferma su Netflix. Dopo un anno e mezzo trascorso a fare dentro e fuori dalla palestra, senza soluzione di continuità, nel gennaio del 2023 Simone ha deciso di fare sul serio. Con l’aiuto della terapia e delle compagne di allenamento, ha affrontato le sue paure, ricostruendo la fiducia perduta. Sposatasi nel maggio del 2023 con Jonathan Owens, giocatore di football americano nella NFL, ha imparato a gestire diversamente la sua vita. A concedersi del tempo per altre cose, al di fuori della ginnastica. Il suo ritorno alle competizioni internazionali è avvenuto ai Mondiali dello scorso anno ad Anversa, dove dieci anni prima, con l’apparecchio ai denti e nessuna pressione, vinse i suoi primi titoli e tutto sembrava un bellissimo gioco. Quello del 2023 è stato un «comeback» clamoroso, con quattro ori, un argento e un esercizio mai visto al volteggio, il quinto a portare il suo nome. Il resto è storia di questi giorni. Una nuova Olimpiade, i fantasmi di Tokyo da scacciare per sempre, tutti gli occhi addosso, i fotografi che sgomitano a bordo pedana per rubarle lo scatto migliore, le star del cinema, della musica e della moda ad applaudirla dalle tribune della Bercy Arena. E gli immancabili leoni da tastiera, pronti a commentare un nuovo «fallimento». Poche ore dopo il suo trionfo, con la medaglia al collo, Simone ha pubblicato un video su Tik Tok utilizzando il discorso del rapper Kanye West ai Grammy Award del 2005: «Tutti volevano sapere cosa avrei fatto se non avessi vinto. Immagino che non lo sapremo mai».

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