Sistema finanziario da riformare
Siamo tutti spaventati dalle guerre e dall’instabilità politica del mondo e siamo anche preoccupati per l’andamento delle nostre economie che sembrano non più in grado di affrontare le sfide tecnologiche del nostro tempo e siamo soprattutto angosciati dalla sensazione che il nostro posto di lavoro non è più certo e ancor più incerto sarà quello dei nostri figli e dei nostri nipoti. Insomma viviamo in un mondo senza certezze e con sempre meno protezioni. Questo smarrimento non è casuale, ma il frutto della decisione dei maggiori Stati occidentali di non «sfruttare» la grande crisi finanziaria del 2008 per riformare (regolamentare in modo efficace) il sistema finanziario restato senza briglie e per rimediare ai guasti della globalizzazione e del liberismo. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Nei paesi di vecchia industrializzazione la crescita della produttività (che è il dato più importante a lungo termine) è diminuita, il debito dell’economia mondiale è esploso salendo a 315mila miliardi di dollari (frutto sia dell’incremento del debito pubblico sia di quello privato) e le diseguaglianze sono aumentate. Non deve quindi sorprendere che pressoché ovunque i partiti che sostenevano i Governi uscenti hanno subito delle sconfitte elettorali cocenti, sebbene spesso i dati macroeconomici non indicavano un peggioramento della situazione economica. Infatti le medie ingannano e, come scriveva il poeta Trilussa, se una famiglia mangia un pollo e un’altra ne mangia due il risultato statistico è che in media ogni famiglia mangia un pollo. Diamo un’occhiata al nostro Paese, che è ancora un’isola felice. I dati indicano che l’anno scorso i salari reali sono diminuiti dello 0,4% rispetto al 2022. Questa percentuale è confortante, ma non corrisponde alla realtà. Infatti non tiene conto dei forti aumenti dei premi delle casse malati, degli affitti e di molte tasse degli enti pubblici volte a far quadrare i conti. L’impatto sulle famiglie povere è stato attutito dai sussidi pubblici, ma non per il ceto medio che supera la soglia per il diritto ai sussidi. Ne segue ovviamente che il loro potere d’acquisto è stato decurtato. Ciò lo si riscontra anche nel commercio al dettaglio: in difficoltà sono i negozi di qualità media, mentre prosperano quelli a bassi prezzi e soprattutto quelli di lusso.
E pure aumenta la povertà: nel nostro Paese tocca soprattutto le famiglie monoparentali e gli indipendenti. È quanto sta già accadendo negli Stati Uniti dove si teme che una forte contrazione dei consumi possa pregiudicare la crescita dell’economia. Secondo Ofxord Economis, già oggi il 40% della popolazione americana meno benestante copre il 20% si tutte le spese, mentre il 20% più ricco spende il 40% del totale.
Le cause di questi fenomeni sono numerose, ma le principali sono la globalizzazione, che ha favorito la delocalizzazione di molte produzioni verso i Paesi a bassi salari, le politiche neoliberiste e la decisione di salvare il sistema finanziario attraverso un forte aumento della liquidità senza imporre regole sulla sua attività. Ciò non ha favorito una stabilizzazione delle economie occidentali, ma ha solo prodotto maggiore moneta in circolazione che non si è tradotta immediatamente in inflazione grazie all’effetto calmieratore dei prezzi dei beni dei Paesi a bassi salari e ancor meno ha favorito l’affermarsi di una società più equa. I principali vincitori sono stati invece il settore finanziario e le persone che vivono di rendita. Questi ceti sociali non propugnano riforme, ma vogliono mantenere lo status quo. Non sono certo coloro che vogliono i cambiamenti che sembrano invocare gli elettori stanchi dello status quo che scelgono di votare per i partiti che erroneamente vengono definiti populisti.