Squilibri e pericolose fratture sociali
Una volta cento, mille franchi erano una quantità comprensibile per ogni persona, in seguito siamo passati ai milioni e ai miliardi, infine siamo arrivati alle migliaia di miliardi e ora siamo arrivati ai 160mila miliardi, ossia ad una cifra che corrisponde a 160 più dodici zero. Questo dato corrisponde al balzo del valore della ricchezza cartacea, ossia delle attività finanziarie (azioni, valori immobiliari, ecc.), creato a partire dal 2000. Queste cifre sono il risultato di una ricerca dal titolo «The Future of Wealth and Growth is in the Balance» condotta dalla società di consulenza americana McKinsey e riassunta recentemente dal quotidiano inglese «Financial Times». Questa somma, inimmaginabile da un comune mortale, mette in evidenza la finanziarizzazione dell’economia mondiale e dei rischi che questo processo rappresenta per il nostro futuro. Infatti ciò vuol dire, sempre secondo McKinsey, che il valore complessivo delle attività finanziarie è passato dal 2000 dal 470% del PIL mondiale all’attuale 600%, cioè il valore delle azioni e dei prezzi dell’immobiliare sono cresciuti più dell’economia globale. Questo processo è solo in parte ascrivibile alla crescita economica. Esso invece deriva per lo più dal forte aumento dell’indebitamento, che rappresenta oggi il 350% del PIL globale, e soprattutto dalle politiche monetarie dell’ultimo decennio fatte di continue iniezioni di liquidità nel sistema economico da parte delle banche centrali e da un costo del denaro spinto verso lo zero e addirittura in territorio negativo, anche in Svizzera. Questo trend potrà continuare solo se vi sarà un forte aumento della produttività che permetta all’economia reale di crescere molto più rapidamente dell’indebitamento complessivo e della ricchezza cartacea. Ma, e non vi sarà un miracolo economico prodotto dall’intelligenza artificiale o da scoperte rivoluzionarie nel campo energetico, questo scenario appare oggi irrealistico.
Il cambiamento del quadro economico con la «resurrezione» dell’inflazione e la svolta della politica delle banche centrali che cercano ora con colpevole ritardo di frenare il ritmo del rincaro rende molto più probabile una brusca interruzione di questo processo, come è successo con la crisi finanziaria del 2008. Infatti quando i tassi di interesse nominali (non depurati dal tasso di inflazione) superano il ritmo di crescita nominale dell’economia, i redditi di imprese e di cittadini così come il gettito fiscale degli Stati diventano inferiori ai tassi che devono pagare sui loro debiti rendendo insostenibile il loro debito con la conseguenza di far crollare i valori cartacei delle attività finanziarie e di innescare una recessione che taglia in modo drammatico il livello eccessivo del debito. Oggi siamo ancora lontani da questo punto di rottura.
Infatti la realtà odierna è di un’inflazione che rimane ancora alta accompagnata da un rallentamento della crescita economica che comunque rimane positiva. L’effetto taumaturgico di questa situazione è che diminuisce l’ammontare reale dei debito (come sta accadendo in Italia dove grazie a questo meccanismo sta scendendo il rapporto tra debito pubblico e PIL) e fa esplodere le diseguaglianze, poiché privilegia i ceti agiati, che abitualmente investono nei mercati finanziari, ed impoverisce i ceti medi e bassi che vedono i loro redditi erosi dal rincaro e il valore dei loro risparmi evaporare. Ciò vale anche in Svizzera anche a causa del forte aumento dei prezzi dei generi alimentari, nonostante un’inflazione ferma al 2,9%, e dove ci si prepara a subire la mazzata dei nuovi aumenti dei premi delle casse malati.
Questa terapia non può essere praticata a lungo: presenta infatti un limite politico. La popolazione e soprattutto i ceti medi e bassi dei Paesi occidentali sono sempre insofferenti di fronte all’esplosione delle disuguaglianze e non accettano più lo strisciante impoverimento determinato dal rincaro, come si constatata in ogni consultazione elettorale. Comunque andrà a finire, questo grave squilibrio tra i principali aggregati economici e finanziari, crea un ulteriore motivo di apprensione in un quadro generale già reso oscuro dalle difficoltà interne dei sistemi democratici e dalle forti tensioni geopolitiche.