«Stablecoin» tra prudenza e sorprendenti entusiasmi
Il mondo delle cosiddette criptovalute è ancora una volta in subbuglio e si riapre il confronto tra sostenitori e critici. E cioè tra chi immagina un sistema monetario decentrato e non soggetto alle manipolazioni del potere politico e finanziario, e chi vi vede invece giganteschi rischi nascosti nelle pieghe della frenesia del mondo «FinTech». Quanto ai primi, sebbene la sfiducia nel governo della moneta sia spesso comprensibile, è davvero difficile immaginare un mondo in cui il bitcoin (o chi per esso) sostituisca le valute nazionali. Chiunque in Svizzera fissasse i prezzi di ciò che vende in bitcoin (e non in franchi) si esporrebbe ad un insostenibile rischio di cambio a fronte della necessità di reperire comunque le risorse per saldare i debiti (denominati in franchi) nei confronti di collaboratori e fornitori che non abbiamo aderito al bitcoin, e inevitabilmente del fisco, e accettare il pagamento delle imposte in criptovalute al cambio del giorno non cambia la sostanza del rischio. I secondi restano perplessi anche di fronte alla proliferazione di cripto-valute, diverse migliaia ormai oltre bitcoin, che è contraria alla necessità di qualunque sistema monetario di far convergere gli utenti verso un’unica unità di conto e, soprattutto, certifica il continuo e inconcludente sforzo di rimediare ai gravi difetti delle altre criptovalute già esistenti. Dopo i recenti rovesci, le «cripto» e la tecnologia blockchain sembrano comunque destinate a sopravvivere, offrendo materia di scommessa e speculazione. L’instabilità sistemica che possono generare non è maggiore di quella generata dal gioco d’azzardo se ciascuno mette a repentaglio esclusivamente il proprio capitale. Ma la centralità delle valute nazionali non è poi così facile da scalfire. Dopotutto, chi cerca di guadagnare con le «cripto» e la blockchain misura il proprio guadagno in dollari o in franchi, non in bitcoin!
Un aspetto più preoccupante è piuttosto la proliferazione delle cosiddette «stablecoin», nate proprio per sfuggire alla volatilità pur restando nel mondo «cripto», un fenomeno che solo nel 2021 è cresciuto del 500% raggiungendo la ragguardevole cifra di $ 170 miliardi. Si tratta di strumenti sostanzialmente non diversi da un fondo d’investimento monetario o da un deposito bancario per il parcheggio temporaneo di liquidità. Le stablecoin sono offerte da società che raccolgono valute nazionali offrendo in cambio un oggetto digitale con la promessa di convertirlo alla pari, su richiesta del sottoscrittore, nella valuta d’origine.
Le stablecoin oggi in circolazione rinunciano paradossalmente all’elemento fondante dei Bitcoin, quello di sostituire la fiducia negli emittenti con la fede nella tecnologia.
Nel caso delle stablecoin, la fiducia è riposta indirettamente proprio nelle valute nazionali ma attraverso operatori opachi, in giurisdizioni offshore e privi di bilanci attendibili e cer tificati.
Il problema, certo non nuovo nella storia degli strumenti finanziari, è che la promessa di convertibilità delle criptovalute in valuta nazionale è garantita da attività che possono perdere valore o diventare illiquide in momenti di stress finanziario. Le stablecoin hanno fatto fronte negli ultimi mesi a riscatti di decine di miliardi di dollari il che, dato che per loro stessa ammissione non sono interamente investite in attività liquidabili, ha drenato parte della liquidità che avevano aumentando quindi i rischi per i restanti investitori. Sono i rischi che si corrono anche depositando i soldi in banca o investendo in un fondo monetario, e proprio per questo esiste la regolamentazione finanziaria stringente delle banche e dei fondi.
Stupisce profondamente quindi l’inattività delle autorità nel richiedere trasparenza e garanzie anche alle stablecoin, risollevando i seri dubbi su utilità ed efficacia del pesante apparato di regolamentazione e vigilanza finanziaria già emersi dopo la crisi finanziaria globale. Il che, ironicamente, conferma i dubbi istintivi degli investitori in criptovalute sulla bontà del sistema finanziario attuale.
Le nuove tecnologie digitali e crittografiche cambieranno, forse, il futuro dei sistemi monetari e introdurranno innovazioni in altri campi, ma nell’esplorazione dei nuovi orizzonti che si aprono è necessaria la cautela dei singoli e l’impegno delle autorità pubbliche preposte a presidiare la stabilità economica e finanziaria. Anche per questo motivo è sorprendente l’ondata di entusiasmo per il Plan B Lugano, anche perché non ci si appoggia a inventori di nuove applicazioni della blockchain ma a promotori con precedenti poco rassicuranti di una stablecoin opaca basata in una isoletta caraibica, già sanzionata e che nemmeno pubblica bilanci certificati. Caveat emptor verrebbe da dire, invece di fornire la credibilità delle nostre istituzioni a chi non sembrerebbe proprio meritarla anche se portatore di milioni (di franchi).