Stampa locale e vasto mondo

I giornali non se la passano bene. I lettori e gli abbonati diminuiscono costantemente; la pubblicità da anni è in forte calo. I giovani si informano, quando si informano, soprattutto attraverso contenuti brevi, granulari. E ben difficilmente acquistano un giornale. Più in generale vi è una sorta di rinuncia alla complessità mentre il mondo diventa sempre più complesso. Questa tendenza non va certamente d’accordo con la nostra preziosa democrazia, che per funzionare necessita di cittadini impegnati a cercare di capire appronfonditamente la realtà in cui vivono, partendo in particolare dalla relazione con la propria dimensione locale.
Pochissimi giornali sanno davvero bene dove andare a parare e anche fra chi pareva solidamente lanciato verso nuovi modelli di business le cose non stanno andando bene. È il caso dell‘inglese «The Guardian», spesso decantato quale modello, che comincia a mostrare preoccupanti crepe finanziare (39 milioni di perdite lo scorso anno a detta del «Times» di Londra).
Ma a noi interessa soprattutto la realtà dei nostri giornali e meno i pochissimi giornali globali che, soprattutto se in lingua inglese, possono teoricamente ambire a vasti mercati. Non staremo a ripetere la litania dei nostri sette quotidiani cantonali di qualche decennio fa (altro mondo, altri tempi), ma rendiamoci conto che anche i due quotidiani attuali rischiano di rivelarsi insostenibili per il nostro piccolo mercato. Anzi, se guardiamo alla scomparsa di tanti quotidiani locali, soprattutto negli Stati Uniti ma non solo, anche un solo giornale potrebbe rivelarsi un lusso per il Canton Ticino.
Oltre agli USA, basterebbe guardare vicino a noi come sono restate scoperte in Italia certe realtà locali anche di dimensioni relativamente consistenti. Tanto per dire, «La Sentinella del Canavese», con «La Provincia Pavese» l’ultimo giornale locale del gruppo GEDI (ex Gruppo L’Espresso), che serve un bacino di lettori simile al nostro facente capo alla città di Ivrea, esce quattro volte a settimana con una redazione di sette giornalisti.
Al di là dei tanti siti informativi online, di qualità peraltro variabile, poco redditizi e fatti spesso con mezzi contenuti, i giornali di carta vedono fosco. Basti pensare che una ventina di anni fa in Italia si vendevano circa sei milioni di copie di quotidiani al giorno, mentre oggi si sono ridotte a un milione e mezzo. E sei milioni di copie erano davvero poche già allora (cento copie per mille abitanti), se pensiamo che in Svizzera, Ticino compreso, si parlava di trecento copie per mille abitanti (e in Scandinavia addirittura di quattrocento). Oggi il peggioramento è diffuso, ma la stampa scritta elvetica per il momento resiste, nonostante i conti che non tornano e i ridimensionamenti effettivi o sempre in agguato.
Da tenere presente che la situazione italiana, dove ci si continua a informare soprattutto attraverso le televisioni, rimane abbastanza anomala, mentre da noi i giornali, seppure come detto in notevole difficoltà, mantengono un ruolo informativo sostanziale.
Ma ci si chiede fino a quando, se molti giovani si arrendono dopo la lettura di un paio di capoversi, per magari tornare a immergersi nell’«infinite scroll» del social preferito. C’è chi conta sul successo dei podcast o di certi lunghi formati (per i quali è stato coniato il neologismo di «scrollytelling»), ma la dura realtà è che finora nella maggior parte delle nazioni nulla ha sostituito davvero, neanche lontanamente, gli introiti legati ai lettori e alla pubblicità di una volta.
E allora che fare per invertire una tendenza così funesta? Nessuno ha la bacchetta magica, ma qualche intervento di buon senso si impone. Prima di tutto sono indispensabili firme autorevoli e riconosciute, che sappiano dominare perfettamente ciò di cui si occupano e quando serve riescano a metterlo in stretta relazione con ciò che accade nel proprio territorio di riferimento. Queste firme sanno scrivere in maniera competente e accattivante, riuscendo a stabilire un filo diretto con il lettore che di loro si fida.
Facile a dirsi e difficile a farsi, ma, uscendo dal contesto dei giornali ticinesi, un esempio significativo potrebbe essere il nome di una brava giornalista che forse dirà poco a molti lettori. Si chiama Andrée-Marie Dussault e scrive da tempo di cose ticinesi sul quotidiano romando «Le Temps» (e su «La Liberté» di Friborgo). Fra i temi dei suoi contributi più recenti troviamo ad esempio la povertà che esplode in Ticino, la perequazione finanziaria federale che ci è sfavorevole, l’Italia che tenta di riportare a casa i propri operatori sanitari. Articoli di un certo respiro che tastano per bene il polso del territorio, pareri richiesti alle persone giuste, capacità di sintesi e collegamenti originali rispetto ai problemi emergenti. Ma c’è spazio anche per il grande progetto della Città della musica a Lugano, corredato da informazioni preziose a proposito del fallimento di un progetto analogo a Ginevra. E con i progettisti vincitori che lavorano all’ampliamento dell’Accademia musicale di Basilea e che faranno tesoro di quanto appreso nella città renana per la buona riuscita del progetto luganese. Un romando interessato alla nostra realtà è ben servito e anche un ticinese o un altro confederato può trovare il proprio tornaconto in uno sguardo apparentemente esterno. È quindi di fondamentale importanza scegliere quale sia il territorio da privilegiare: la Svizzera italiana, la Svizzera tutta, la città dei laghi e l’Insubria. E da qui verso l’Europa e l’Universo Mondo.
Viene in mente lo scontato «vaste programme» dell’ipercitato de Gaulle, che non amava ma leggeva avidamente la stampa scritta, soprattutto «Le Monde». Ricordandoci che nel nostro piccolo, con la ricchezza dei media di cui ancora disponiamo oggi, forse senza rendercene troppo conto stiamo sempre beneficiando (confidando che duri ma non sarà facile!) di un nostro eccezionale «Le Monde».