Storie di confine, anzi di ramine

Emanuele Gagliardi
Emanuele Gagliardi
22.09.2012 05:05

di EMANUELE GAGLIARDI - Una volta la rete che separava il territorio italiano da quello ticinese, rinforzata con tanto di filo spinato, incuteva rispetto e timore. Percorreva tutto il confine (centinaia di chilometri, 214 per l'esattezza) in zona piana e impervia. Era sormontata da campanelli, i ?sonagli?, posti a distanza regolare uno dall?altro. Pronti a dare l?allarme ad ogni tremolio. Sorta negli anni Venti su decisione dall?autorità italiana rappresentava una barriera, non sempre insormontabile, per quanti, contrabbandieri soprattutto, volevano muoversi illegalmente nella zona di frontiera. La rete, conosciuta anche col nome di ramina, è stata testimone di migliaia di passaggi: ha visto carovane di contrabbandieri passare avanti e indietro, di giorno e di notte, con merce di ogni genere. Durante la guerra ha accolto, protetto, salutato e accompagnato persone disperate e in fuga. Famiglie intere, a volte, che quando arrivavano vicino ad essa e l?attraversavano mettendo piede in Svizzera tiravano enormi sospiri di sollievo. Poi via di corsa verso la libertà, girandosi per un attimo, per l?ultima volta verso la ramina per sincerarsi, magari, di aver passato veramente il confine, di essersi lasciati alle spalle pericoli, paura e orrori. Gli anni sono passati e la rete, sotto il peso del tempo trascorso e dell'incuria, è crollata in gran parte, sommersa dall?oblio e dalla vegetazione. Resiste, con tanto di regolare manutenzione da parte dell?autorità italiana, l a Guardia di Finanza, solo in qualche punto, probabilmente strategico. Una storia lontana, la sua, che rivive in appassionate e struggenti vicende di confine. Ogni tanto, però, la rete torna di moda. Di ramina si è parlato recentemente in merito alla querelle degli operai che volevano recarsi a pranzo, dal Ticino all'Italia, in un ristorante di Ronago: lavoratori che, per accorciare la strada, usufruivano di una varco ricavato nella rete che corre sul confine tra il ristorante italiano e il territorio svizzero. La ramina di Ponte Faloppa è lontana figlia di quella sorta nel secolo scorso. I tempi sono cambiati: si è nell?area Schengen, si respira la libera circolazione delle persone. Eppure, alcuni tratti della rete resistono ancora, come qualche cancello doganale italiano alla sera si chiude, a differenza di altri sempre aperti, come del resto indicano le direttive europee. La storia della ramina di Ponte Faloppa si è chiusa in un paio di giorni. La Guardia di Finanza ha proceduto in fretta a risolvere il problema ed ha piombato la rete. Di lì non si passa più. Chi vuole un pasto a buon mercato deve allungare la strada. Resta la madre di tutte le reti, quella dimenticata e sepolta lungo centinaia di chilometri di confine, tra arbusti e piante di mirtilli. Di cose ne avrebbe da dire: a volte viene avvicinata o calpestata da gitanti, ma anche da clandestini o magari da corrieri che trasportano merce con cui non è salutare presentarsi in dogana. Una vecchia convenzione stabiliva che nessun manufatto potesse sorgere sino a due metri dal confine, sia da parte italiana, sia da parte svizzera. Per il confine, quello vero, fanno stato i cippi. La madre di tutte le ramine ha accettato anche questa disposizione: sa di non aver occupato il posto esatto che la sua funzione avrebbe meritato. Di tempo per pensare al passato ne ha parecchio: quante volte è stata ferita, tagliata negli anni: a volte per scopi umanitari, a volte per soli fini di lucro. Il forte vento di questi giorni le ha portato notizie di quanto accaduto a Ponte Faloppia, ad una delle sue giovani figlie. Ha voluto sapere tutto: quando ha conosciuto il motivo di questo ulteriore taglio, di questo strappo (un pranzo a buon mercato in Italia rispetto al Ticino) ha avuto un tremito, sprofondando di qualche centimetro: amareggiata, avrebbe voluto fare di più ed ha pensato, con nostalgia, a quei campanelli che l?ornavano un tempo. L'avrebbero aiutata, con il loro tintinnio, a sottolineare il suo disappunto.