Talenti tecnologici
Cosa hanno in comune l’invasione dell’Ucraina, il Covid e il riscaldamento climatico? Apparentemente non molto - se non aver messo a nudo le debolezze delle filiere di produzione che funzionavano bene fino a che... non andavano più bene affatto. Irrobustire le catene di approvvigionamento dell’industria e mettersi al sicuro vuol dire non dipendere unicamente da una fonte, che si parli di materie prime, di semilavorati o merci. A maggior ragione se la produzione si concentra in paesi lontani o politicamente imprevedibili. Ricordate l’inizio della pandemia senza mascherine e disinfettante? Nessuno (o quasi) li produceva più se non i cinesi. Ma lo stesso vale per i semiconduttori, i componenti e tante altre merci. Sta già succedendo - alcune grandi aziende tecnologiche (Apple, Microsoft o Amazon per esempio) hanno recentemente trasferito parte della produzione fuori dalla Cina.
Ma non è semplice. Deglobalizzare può avere un costo alto se non accompagnato da una maggiore automazione della produzione. I lavori meno qualificati, ripetitivi come per esempio l’assemblaggio di merci e i controlli visuali potrebbero essere delegati a strumenti e tecnologie innovative. Per dare una spinta all’automazione industriale occorrono persone formate, talenti che finora hanno preferito lavorare nelle imprese tecnologiche - per esempio le aziende cosiddette Saas, Software as a service - lasciando sguarnita l’industria manifatturiera e i trasporti. E questi sono proprio i settori che, al di là dell’enfasi sulle piattaforme tecnologiche, producono due terzi dei beni e servizi di cui abbiamo bisogno.
Ma proprio la fine della pandemia potrebbe dare una forte spinta evolutiva all’industria. Come? Con un travaso di personale dal settore tecnologico. Finora per l’industria era difficile assumere personale con competenze digitali. Non solo le aziende come Google, Microsoft o Apple offrivano salari più alti ma erano anche più attraenti. Qualcuna un errore però l’ha fatto. Ha considerato duraturi e acquisiti i cambiamenti della pandemia e ha assunto molte più persone di quelle che servivano dopo che i consumatori hanno ripreso le abitudini di prima. Una delle scommesse non proprio riuscite è forse il metaverso: finito il lockdown pochi hanno l’intenzione di lavorare o bere l’aperitivo tramite un avatar. Nella sua recente lettera ai dipendenti Marc Zuckerberg ha scritto, senza riferimenti al metaverso ma in generale: «Undicimila colleghi di grande talento dovranno lasciarci» perché «ho scommesso su un cambiamento che non è durato oltre la pandemia». Lo stesso vale per Amazon che ha rimesso sul mercato tecnici che lavoravano tra l’altro su tecnologie vocali, intelligenza artificiale e automazione. Ma vale soprattutto per molte start-up. Per la manifattura, i trasporti o l’energia questa è una grande opportunità di assumere interi team proprio quando occorre urgentemente riorganizzare la propria filiera di produzione e i processi di automazione. Ho pochi dubbi, nei prossimi cinque-dieci anni vedremo molta più innovazione e proprio dove serve maggiormente. Sì, perché le grandi novità degli ultimi vent’anni si sono concentrate principalmente nell’informazione, nelle piattaforme, nelle app. L’economia delle app è fiorita non perché erano necessarie, ma ricreative. Adesso siamo davanti a vere necessità. Per rendere più robusta e sostenibile la produzione di beni e servizi occorre maggiore agilità nel senso di smart manufacturing.
Ultimo esempio, l’invasione dell’Ucraina ha creato un’emergenza energetica e consenso sulla necessità di non essere ricattabili e trovare fonti energetiche indipendenti. Per fare un vero salto di qualità occorrono talenti tecnologici, oltre ai generosi finanziamenti messi a disposizione dal governo degli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Anche in questo settore l’opportunità arriva al momento giusto per creare innovazione e prosperità. Finanziamenti, tecnologia e talenti ci sono. E urgenza, perché non abbiamo molte altre scelte.