Tra i nostri e i loro

MAGA: Make America Great Again è il grido di battaglia di Trump, espressione di nazionalismo estremo, di difesa del «nostro»: occupazione e arricchimento per i nostri, investimenti in patria, alti dazi per le importazioni, respingimento e deportazione di immigrati e rifugiati ecc.
Il conflitto noi/loro, vicino/lontano non è certo stato inventato oggi, anzi ha una lunga storia: dobbiamo amare il prossimo o l’umanità? Dobbiamo occuparci dei vicini, dei lontani, con quali priorità? L’Antico Testamento risponde a favore del vicino: «Ama il tuo prossimo come te stesso», si dice nel Levitico 19,18; nel Vangelo Gesù, a chi chiedeva quale fosse il primo dei comandamenti, rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Mc.12,30-31). L’ordine ebraico e cristiano dell’amore vuole dunque che si ami Dio incondizionatamente; il prossimo, come se stesso, quindi in maniera sottoposta a condizioni. Non voglio comunque prendere qui la parola da teologa, quanto da filosofa. Il vice presidente americano J. D. Vance è però intervenuto in quanto cattolico a spiegare perché la sua feroce politica antimigratoria sarebbe in linea con il messaggio della chiesa. Lo ha fatto ricorrendo al principio dell’ordine dell’amore (in latino ordo amoris), secondo il quale «si deve pensare prima a se stessi, alla famiglia, ai vicini di casa, alla propria comunità, al proprio paese e solo poi a chi vive altrove».
Arrivò a un concetto simile anche l’etica stoica, per es. con Cicerone. Simili sono pure alcune posizioni contemporanee: di Vilém Flusser (sono responsabile del vicino e non del lontano); di Avishai Margalit (al lontano spetta un’etica sottile thin, cioè un generico rispetto; soltanto al vicino, in virtù dei legami spessi, thick, dobbiamo rapporti più impegnativi) e di Kwame Anthony Appiah, che esita a donare oggi intaccando il benessere degli abitanti dei paesi ricchi.
L’unica voce che si stacca dal coro è quella di una filosofa, Martha C. Nussbaum, che intesse un serrato dialogo con Cicerone, respingendo la sua falsa opposizione tra «noi» (parenti, vicini, concittadini) e «loro», i lontani e i diversi, ai quali si può offrire aiuto materiale giusto nel caso che questo non comporti sacrifici per noi. Insomma Nussbaum infila e gira il coltello in una piaga della filosofia politica ma anche dei sistemi di distribuzione delle nazioni opulente: se si tratta infatti di assegnare pari dignità e pari rispetto, che non costano nulla, tutti d’accordo, a parte le frange più retrive. Ma quando si tratta di intervenire con aiuti materiali costosi, si obietta che la povertà è volontaria, dovuta a pigrizia, oppure si afferma, come Vance, che viene prima il prossimo/vicino.