Il commento

Tra la Fed e la BCE c'è un oceano

La stretta monetaria per stroncare l'inflazione rischia di provocare una crisi economica e finanziaria – Prossimo giro di vite? La stretta di Halloween
Generoso Chiaradonna
22.10.2022 06:00

La lotta all’inflazione attraverso la sola leva della politica monetaria sembra accomunare le due principali autorità da una parte e dall’altra dell’Atlantico: da una parte la Federal Reserve e dall’altra la Banca centrale europea. In realtà le due sponde dell’oceano sono ben distanti, non solo per ragioni geografiche, ma per cultura politica e approccio alla soluzione dei problemi economici contingenti. Basta scorrere gli obiettivi dell’una rispetto all’altra per capire le differenze e i rischi che la replica pedissequa di una politica inadeguata possono causare.

La Federal Reserve ha ben sei obiettivi da conseguire e nessuno di questi è gerarchicamente superiore o inferiore all’altro. Li citiamo per precisione: la stabilità dei prezzi, una elevata occupazione, un tasso di crescita sostenuto dell’economia, la stabilità del sistema finanziario, la riduzione della volatilità dei tassi d’interesse a lungo termine e la stabilità del mercato valutario. Per la BCE invece l’obiettivo è sostanzialmente uno solo: prezzi stabili con l’inflazione vicina, ma non superiore al 2% l’anno. A giustificare qualcosa in più, ma sempre in modo molto generico e timido, c’è il corollario del sostegno alle politiche economiche dell’Eurozona tese a “una crescita equilibrata e competitiva che punta alla piena occupazione e al progresso sociale”. Ma questo solo in seconda battuta e fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi. Eurozona, inoltre, vuol dire 19 governi di Paesi che hanno storie politiche e strutture economiche diversissime. Si va, per citare gli estremi, dalla mediterranea Cipro, alle repubbliche baltiche.

È intuibile a prima vista che la capacità di azione e di reazione della Federal Reserve al mutare della situazione economica è molto più ampia e soprattutto flessibile rispetto a quella della BCE. Anche la coerenza tra politica economica del governo statunitense e politica monetaria della Fed, pur rimanendo quest’ultima un’autorità indipendente, è più facile da raggiungere. La zona euro da questo punto di vista è molto più frammentata e rischia di esserlo sempre di più a ogni elezione nazionale con forze politiche che mettono in discussione il progetto di costruzione europea. O almeno, ne propongono un altro che si scontra con la volontà originaria dei fondatori di tentare di attenuare i nazionalismi del 20.mo secolo, diciamo così.

In una Europa, almeno quella della moneta unica, colpita dal rincaro dei prezzi indotto prevalentemente da fenomeni esogeni come il caro energia, la guerra in Ucraina e le strozzature alla filiera produttiva post pandemiche, la medicina proposta dalla BCE è la stessa per tutte le 19 economie che adottano la sua moneta: per l’Estonia che registra un’inflazione tendenziale annua del 24,1% e per la Francia che a settembre registrava un tasso del 5,6%. Anche se la medicina dell’aumento del costo del denaro fosse giusta, la dose non dovrebbe essere la stessa per economie di stazza diversa storicamente abituate anche a costi del denaro differenti.

Velocità e simultaneità delle decisioni

Ma quello che sta emergendo in questo particolare periodo storico è la velocità con la quale le principali banche centrali - compresa la Banca nazionale svizzera - stanno procedendo al più esteso irrigidimento delle politiche monetarie. Non siamo allo shock del 1979 quando alla testa della Fed c’era Paul Volker che portò i tassi di riferimento sul dollaro dall’11% al 20,5% in pochi mesi. Stroncò sì l’inflazione, ma con costi sociali elevatissimi in termini di disoccupazione. Il fatto che la stretta avvenga simultaneamente in varie aree monetaria (con l’eccezione del Giappone) fa aumentare i rischi di recessione e di instabilità finanziaria. La fuga di capitali dal debito delle economie emergenti attratti dal dollaro, per esempio, indebolisce paesi già fragili di loro con il rischio di bancarotta. Non solo. Il fenomeno è replicabile anche tra i debitori privati, in primis le grandi banche d’affari, scendendo giù fino ai debitori ipotecari. E non sempre l’opzione più economica è quella di lasciar fare al mercato.

Il prossimo aumento dei tassi da parte della BCE è atteso per il 27 di ottobre, mentre quello della Fed il 2 novembre. C’è chi parla di stretta di Halloween, la notte dei mostri. E non sarà uno scherzo con le rispettive economie che si trovano sul baratro della recessione tanto che basta un nonnulla per cadere oltre. Su entrambi i lati dell’Atlantico sono attesi aumenti dei tassi d’interesse guida di altri 75 punti base. Nel caso della Fed sarebbe il quarto aumento, mentre per la BCE il terzo quest’anno. E con tassi d’interessi crescenti e prospettive economiche calanti, non si sta certamente andando verso un periodo di espansione economica. E questo indipendentemente da cosa i principali indicatori abbiano registrato nel recente passato. Svizzera compresa.