Un difficile obiettivo per Donald Trump

Il prossimo 2 aprile doveva essere il «Giorno della liberazione degli Stati Uniti», così l’aveva definito lo stesso Donald Trump, ossia il giorno in cui avrebbe comunicato dazi e altre restrizioni commerciali volti a rilanciare l’economia americana. Sembra però che non sarà così poiché indiscrezioni filtrate dai corridoi della Casa Bianca hanno fatto sapere che queste misure non comprenderanno provvedimenti contro il settore farmaceutico, quello automobilistico e quello dei semiconduttori (i famosi chips). È impossibile capire se queste voci siano affidabili oppure se facciano parte di una strategia volta a creare incertezza per dare maggiore eco all’annuncio del presidente americano. È comunque certo che la via dei dazi imboccata si rivelerà un vicolo cieco. L’obiettivo della Casa Bianca è far sì che le imprese americane che hanno delocalizzato all’estero rimpatrino la loro produzione e che quelle estere investano in America per evitare di pagare i dazi. L’esperienza dimostra che è vano cercare di riportare in patria produzioni a basso valore aggiunto che prosperano nei Paesi a bassi salari ed è difficile e soprattutto occorre molto tempo per convincere quelle ad alta tecnologia a trasferire parte della loro produzione negli Stati Uniti. Infatti lo sviluppo delle industrie ad alto valore aggiunto è un processo molto più lento di quello finanziario: non bastano i capitali, occorrono anche personale specializzato, laboratori di ricerca vicini alla produzione, ambiente adeguato e ancora molto altro. Quindi, se non si hanno queste competenze o se si sono perse è molto difficile recuperarle.
Ed è quanto confermano la recente esperienza statunitense e gli scarsi risultati del tentativo di attrarre industrie tramite grandi incentivi finanziari. Infatti, secondo l’associazione svizzera Global Trade Alert, da quando Trump entrò per la prima volta alla Casa Bianca nel 2016 le misure di restrizione del commercio internazionale sono aumentate del 75%. Questa politica potrebbe forse essere ragionevole solo se si pensa di creare una propria area di influenza politica ed anche commerciale (i dazi contro Messico e Canada però non vanno in questa direzione) oppure si corre il rischio di avviare una guerra commerciale dagli esiti economici e politici molto pericolosi. Infatti non si deve perdere d’occhio che questa politica è il preambolo della battaglia principale volta a difendere il privilegio del dollaro che consente agli Stati Uniti di vivere al di sopra dei propri mezzi, ossia avere un enorme debito pubblico e commerciale finanziato dall’estero a prezzi di favore. Infatti coloro che in questi anni hanno abbracciato la teoria della «Eccezionalità degli Stati Uniti» hanno trascurato il fatto che la crescita americana era trainata dall’aumento della spesa pubblica e quella di Wall Street dalla bolla speculativa creata attorno alle magnifiche sette società attive nelle nuove tecnologie. Dunque lo statuto di moneta mondiale del dollaro non regge più a causa del declino relativo degli Stati Uniti che stanno perdendo il loro predominio sia a livello economico, sia a livello militare e che sono ora insidiati dalla Cina anche a livello tecnologico. Queste manovre commerciali sono in realtà la preparazione di misure ben più incisive e decisive destinate a blindare il dollaro, di cui si discute a Washington e su cui abbiamo già scritto. Insomma, «Make America Great Again» è un obiettivo difficile da raggiungere anche per Donald Trump.