Un gusto di incompiuto

Delusione, scoramento e una buona dose di frustrazione accompagnano l’uscita di scena di un Ambrì Piotta che, ancora una volta, ha fallito l’assalto ai playoff. L’opportunità di tornare a fare parte delle otto elette del campionato era ghiotta, ma i biancoblù l’hanno clamorosamente sprecata, disputando due serie di play-in non all’altezza delle aspettative e del potenziale a disposizione. Distogliere l’attenzione dalle proprie lacune puntando il dito contro la classe arbitrale – pur riconoscendo i meriti degli avversari – è stato poco elegante: nascondere la testa sotto la sabbia è un intralcio ad un auspicato salto di qualità che, alla resa dei conti, non c’è stato.
La mossa ha funzionato: oggi la maggior parte del popolo biancoblù attribuisce ai direttori di gara la responsabilità dell’eliminazione. Troppo semplice, troppo riduttivo. Nessuno mette in dubbio il grave errore dei fischietti, ma la crescita di un club sportivo passa anche dalla lucidità con la quale si analizzano successi e sconfitte. Occorre allora ribadirlo: chi perde tre delle quattro sfide disputate nei play-in, concedendo dieci reti in 120 minuti ad una formazione generosa ma tutt’altro che irresistibile come il Kloten, non merita di accedere ai giochi per il titolo. In altre parole, dopo un 2025 estremamente promettente in termini di crescita e di risultati, l’Ambrì Piotta si è sciolto sul più bello. No, la stagione dei leventinesi non è stata assolutamente fallimentare, ma ormai da qualche anno a questa parte, a bocce ferme, rimane un amaro gusto di incompiuto. Di vorrei, ma non ci riesco. Alla Gottardo Arena il popolo biancoblù si è spesso divertito e l’Ambrì Piotta ha saputo offrire emozioni forti, figlie soprattutto di uno spirito di resilienza al di sopra della media. Non è mai crollata, la squadra di Luca Cereda, che al tempo stesso però – lo testimoniano i 24 overtime disputati – non è mai stata davvero in grado di effettuare un concreto passo in avanti rispetto ad un anno fa. Rimane insomma una fragilità strutturale che gli otto anni della gestione Cereda non sono stati in grado di stabilizzare. Con l’aggravante di un effettivo sulla carta molto più competitivo rispetto al recente passato. Gli sforzi del club e di Paolo Duca – leggasi gli ingaggi di Curran, ma soprattutto quelli di un fuoriclasse come Kubalik e di un trascinatore nato come DiDomenico – non sono insomma stati premiati dai risultati.
Affermare che l’obiettivo stagionale – i play-in – è stato raggiunto, è un altro ostacolo nel cammino verso traguardi più ambiziosi. È la tana dove si nasconde la dirigenza biancoblù per non caricare l’ambiente di troppa pressione. Chi si accontenta gode, dice il proverbio. Ma è davvero così? L’Ambrì Piotta vive ancora di rendita: nell’immaginario collettivo – un mito sapientemente intrattenuto da dirigenza e staff tecnico - quello leventinese rimane il club di montagna, con pochi mezzi a disposizione, che deve compiere i salti mortali per sopravvivere nell’impietoso mondo della National League. No, non è più così, nonostante la spada di Damocle dei rimborsi legati al coronavirus penda ancora sulla testa della società.
L’Ambrì Piotta ha compiuto investimenti importanti, il trasloco nella Gottardo Arena ha proiettato la società in una nuova dimensione e non è un caso che il club abbia chiuso la passata stagione nelle cifre nere. Deve insomma decidere cosa vuole fare da grande, la società del presidente Lombardi. Senza più giocare a nascondino. Perché, progressivamente, inizia a traballare anche la filosofia del club formatore. La politica dei giovani dell’Ambrì Piotta in verità non si discosta di molto da quella delle altre formazioni di NL, anche costrette da costi sempre più elevati – se così si può dire – a puntare su giovani promettenti. L’inebriante profumo dei playoff – e una migliore situazione finanziaria rispetto al passato - sta portando il club in un’altra direzione: da anni ormai il settore giovanile non produce elementi in grado di ritagliarsi uno spazio importante in prima squadra. E la squadra degli U20 ha chiuso la sua stagione regolare all’ultimissimo posto. Attenzione allora a non perdere la propria identità. Il «ricordiamoci chi siamo e da dove veniamo» rischierebbe di diventare una semplice dichiarazione di facciata.