Una guida riconosciuta per la Diocesi
La Chiesa cattolica ticinese vive un periodo di provvisorietà di cui per il momento non si vede la fine. Questa impressione è tornata a rafforzarsi in seguito alle critiche che, la scorsa settimana, uno dei più importanti portali cattolici della Svizzera ha mosso a monsignor Alain de Raemy, amministratore apostolico della Diocesi di Lugano. A partire da un caso di abusi verificatosi in una parrocchia del canton Zurigo, la testata online sottolineava come monsignor Bonnemain – vescovo di Coira e vicario per i cantoni di Zurigo e Glarona – abbia agito «in modo più netto» del suo collega in Ticino.
Il riferimento, ça va sans dire, è all’inchiesta per abusi a carico di don Leo, scoppiata in agosto con il fermo del sacerdote da parte della polizia, dopo una denuncia partita ad aprile e preceduta da una segnalazione inoltrata a febbraio alla Diocesi. Un lasso di tempo, quest’ultimo, in cui non si sarebbe attuata alcun tipo di misura nei confronti del presbitero: questa, secondo il portale, la grave mancanza di de Raemy, che avrebbe lasciato il prete a contatto con i giovani. Il tutto con un’ipotesi - su cui l’inchiesta dovrà fare chiarezza - che negli abusi potesse essere coinvolto anche un minorenne.
Ebbene, questo scambio di accuse, sebbene tutto interno alla Chiesa cattolica, questo mettere sui piatti della bilancia Bonnemain e de Raemy, merita una riflessione, poiché rivela l’attuale fragilità della Diocesi di Lugano. È ormai un dato di fatto che il prolungato interinato di de Raemy come amministratore apostolico non permetta quella stabilizzazione e quella operatività a medio e lungo termine che sono necessarie a qualsiasi Diocesi del Vecchio Mondo per affrontare un presente burrascoso, con fedeli in calo e sfide culturali e religiose di ogni tipo. Da questo punto di vista, è lecito aspettarsi un chiaro segnale da Roma: niente di più e niente di meno che la nomina di un vescovo. Una Diocesi importante come quella di Lugano non può restare troppo a lungo in un limbo come l’attuale, soprattutto se si ritrova alle prese, come negli ultimi anni, con alcuni casi di abusi, vale a dire con il dovere di preservare la propria credibilità e autorevolezza agli occhi dei fedeli e della popolazione.
Su questa strada, de Raemy ha agito con trasparenza e apertura, facendo fronte con mano ferma al Rapporto di Zurigo sugli abusi. E si è trattato di un segnale molto positivo. Ma per tenere la barra dritta ed evitare che si coagulassero fronti di lotta interni (come poi è avvenuto con il clamoroso caso, a febbraio scorso, della lettera anonima redatta da una cinquantina di parroci ticinesi dove si parlava di «stagnazione e apatia, terrore e corruzione»), sarebbe stato opportuno uscire da quella sensazione di provvisorietà che l’assenza di un vescovo dava e continua, purtroppo, a dare.
La recente critica a de Raemy è da leggersi dentro questa situazione: più che una critica personale, e forse pretestuosa e temeraria, all’amministratore apostolico, è un segnale, l’ennesimo, che alla Diocesi serve una guida stabile e riconosciuta da tutti come tale.