Una macchina da emozioni di nome Roger

di FLAVIO VIGLEZIO - Dodici mesi fa, quando rientrava da sei mesi di pausa forzata, aveva sorpreso il mondo intero conquistando a Melbourne il suo 18. titolo del Grande Slam. Oggi, alla vigilia della sua 14. semifinale agli Australian Open, il cammino di Roger Federer è ancora più impressionante. Sì, perché il basilese ha un anno in più – va per i 37 anni, se qualcuno se lo fosse scordato – e soprattutto perché nel 2017 aveva potuto giocare senza nessuna pressione sulle spalle. Dopo la magica finale in cui aveva avuto la meglio sul suo storico rivale Rafael Nadal, Federer ha firmato una stagione da sogno, con tanto di ottavo trionfo sull'erba prediletta di Wimbledon. Le attese nei suoi confronti sono così fisiologicamente aumentate, la pressione pure: Re Roger sembra però farsene un baffo. Il fisico lo sta sorreggendo e quando può scendere in campo con la mente libera lo svizzero sa ancora essere devastante. Federer – ancora più di prima, quando vincere i grandi appuntamenti rappresentava quasi la normalità – è una macchina capace di dispensare emozioni a getto continuo. Quelle che regala a chi lo osserva tra l'ammirato e l'incredulo e quelle che ancora avverte lui stesso negli appuntamenti che contano per davvero. Il suo sguardo e più in generale il linguaggio del corpo, quando ieri nel primo set ha riagganciato in extremis un Berdych avanti per 5-2, fotografano alla perfezione una motivazione ai limiti del disumano. C'è di che rimanere allibiti: è ai massimi livelli da una quindicina di anni, ha vinto tutto ciò che c'era da vincere, eppure dimostra l'attitudine di un ragazzino pieno di talento, alle prime armi ma desideroso di farsi spazio a gomitate nel duro mondo del tennis dei grandi. Solo lui può sapere dove va ad attingere una tale forza mentale. Ed intanto, mentre gli altri campionissimi sono caduti uno dopo l'altro – per guai fisici come Nadal, per mancanza di competizione come Djokovic e Wawrinka o per mancanza di maturità come Alexander Zverev – Roger c'è sempre. Oltre al suo fenomenale talento e al lavoro di Severin Lüthi e Igor Ljubicic, Federer deve ringraziare all'infinito il suo preparatore fisico Pierre Paganini, uomo che prefersice agire nell'ombra e che conosce alla perfezione il corpo e la testa di Federer. Ed è una delle poche persone di cui Roger si fida ad occhi chiusi. La riabilitazione dopo i sei mesi di assenza dal circuito è stata un capolavoro, così come la gestione dei ritmi – e l'altalena tra pause e competizioni – durante i grandi appuntamenti. Federer è rapido, reattivo e scattante come non mai e pur non giocando il suo miglior tennis in assoluto (stiamo comunque parlando di eccellenza, è bene sottolinearlo con una penna rossa) a Melbourne non ha ancora lasciato per strada un solo set. Più che un uomo ormai maturo, marito e padre di quattro figli, Roger Federer sembra piombato sulla terra da un pianeta in cui la vecchiaia – sportivamente parlando – non esiste. Ed allora diventa terribilmente stuzzicante la semfinale che domani lo vedrà opposto alla grade rivelazione degli Australian Open – insieme al britannico Edmund – ovvero il sudcoreano Chung (ATP 58). A 21 anni, colui che si è concesso il lusso di eliminare gente come Alexander Zverev e Novak Djokovic, disputerà sul centrale la sua prima semifinale di un Grande Slam contro il campione dei campioni del tennis. Sarà in grado di reggere sul piano emotivo e di offrire ancora una volta una prestazione maiuscola? Certo, ci si potrebbe augurare un facile successo di Federer, per goderselo fresco e riposato in finale domenica. Speriamo invece in una sfida vera, combattuta, perché è in momenti e incontri come questi che Roger ha sempre offerto il meglio del suo repertorio. E la voglia di continuare ad ammirare le sue magie è immensa.