Unione Europea e Svizzera a confronto
Da queste colonne ho commentato il rapporto Draghi sull’UE. Analisi impietosa per la perdita di importanza e competitività dell’UE nei confronti degli USA negli ultimi 20 anni. Perdite che evidenziano la mala gestione di politici e burocrati di Bruxelles.
Recentemente è stata lanciata l’iniziativa «Bussola» che, alfine di salvaguardare l’indipendenza della politica elvetica, propone tra l’altro il referendum obbligatorio (il giudizio del popolo e dei Cantoni) per trattati internazionali che impongono il recepimento di disposizioni importanti.
Gli iniziativisti esprimono chiaramente la perplessità nei confronti della nostra autorità e rappresentanti dell’economia troppo inclini a cedere nei confronti di Bruxelles.
A sostegno dell’iniziativa è stato presentato un dettagliato studio nel quale, tra l’altro, vengono messi a raffronto la situazione dell’UE e quella della Svizzera. Ne cito alcuni talmente eloquenti da non necessitare commenti:
• il PIL pro capite in Svizzera è di 94.000 e quello dei cittadini dell’UE di 42.000 euro;
• dal 1995 da noi il PIL è cresciuto del 71%, nell’UE del 57%;
• la nostra disoccupazione è del 3,9%, nell’UE del 5,9%;
• il nostro debito pubblico è del 39%, quello medio UE del 100%;
• dal 1995 l’inflazione è stata nell’UE dell’84%, in Svizzera del 10%;
• l’euro si è svalutato nei confronti del franco del 61%;
• dal 1991 l’aumento reale dei salari è stato da noi del 30%, nell’UE del 20%;
• parimenti nel periodo il nostro potere d’acquisto è aumentato del 100% e nell’UE del 35%.
Anche il giudizio mondiale sulla democraticità ci è favorevole. Siamo al 7. posto contro il 14. della Germania, 22. della Francia, 34. dell’Italia. Si potrà obiettare che per l’UE parliamo di medie che concernono 27 Nazioni. Vero, però proprio le quattro più importanti sono tra quelle che hanno gli indici peggiori. L’indebitamento di Italia (135%), Francia (111%), Spagna (108%) sono addirittura superiori alla media UE. La situazione economica germanica è pesantemente peggiorata e il Paese è in crisi.
Dinanzi a rapporti sotto ogni aspetto favorevoli alla Svizzera è legittimo chiedersi come mai si trovino ancora ambienti che sostengono senza alcuna riserva la necessità che la Svizzera si sottoponga alle esigenze avanzate dall’UE nel proprio interesse. A partire da Maastricht Bruxelles si batte per il trasferimento di sovranità dai Paesi membri e ha comprensibilmente uguale aspirazione, nel suo ma non nel nostro interesse, con la Svizzera.
Le ragioni di chi è incline all’accondiscendenza per le richieste UE sono diverse. Rispettiamo l’utopico atteggiamento degli idealisti per un’Europa Unita secondo le illusioni dei Richard von Coudenhove-Kalergi, Altiero Spinelli, per loro la meta ideale primeggia su ogni sacrificio.
Comprensibile l’atteggiamento delle multinazionali. Operano a livello internazionale, spesso dirette da c.e.o. e consiglieri d’amministrazione con radici straniere, ovviamente meno sensibili a considerazioni nelle quali le particolarità della democraticità svizzera hanno peso. Preferiscono trattare con una sola autorità e impegnarsi con notevole influenza nel costoso lobbismo in una sola capitale, Bruxelles, che in 27.
Da qui l’atteggiamento di Economiesuisse espressione di questo mondo economico. Più possibilista e attendista l’USAM (Unione Svizzera Arti e Mestieri) che rappresenta circa 500.000 imprese. Di queste 700, specie imprese di famiglia da generazioni, si sono riunite in Autonomiesuisse, già contrarie al fallito Accordo Istituzionale, hanno deciso di sostenere l’iniziativa presentata.
Infine vi è il chiaro intento del Dipartimento degli Esteri e della burocrazia in genere di trovare, a costo anche di notevoli cedimenti, le vie per un accordo con l’UE. La motivazione è duplice, da un lato quella di burocrazia e ambienti politici che parlano l’uguale lingua condividendo una visione politica di intervenzionismo statale oggi in auge. Il possibile accordo con l’UE sposta il potere verso l’autorità togliendola agli elettori, mortifica il sistema democratico svizzero in antitesi con quello europeo (top down). Dall’altro si temono le ripicche dei burocrati di Bruxelles per i quali la Svizzera è una «rottura di scatole» nel mezzo di 27 nazioni. Una fonte di irritazione comprensibile dal loro punto di vista. Questi timori, che nel recente passato si sono rivelati di modesto fondamento e che non hanno effettivamente danneggiato la nostra economia e neppure le nostre università, portano a negoziare in posizione di sudditanza e ad arrendersi prima di sapere quanto lo scontro veramente ci potrebbe costare.
Nel 1992 all’occasione del rifiuto popolare di aderire allo Spazio Economico Europeo (SEE), Consiglio federale e i poteri forti del Paese avevano predetto un disastro per la nostra economia. I fatti hanno dimostrato utilità e saggezza della decisione popolare.
A trent’anni di distanza il confronto si ripresenta grazie ad un’iniziativa che permette uno scontro aperto tra gli interessi e i sentimenti presenti su suolo nazionale.
Se siamo quelli che siamo, sia pure con i nostri limiti e difetti, lo dobbiamo ad una Costituzione che diffida dal «potere» grazie a molti suoi fondamentali articoli, e questa diffidenza ha fatto di noi l’unica democrazia (semi)diretta del mondo. Vediamo di difenderla con i suoi evidenti vantaggi.