Usare l'empatia
Immagino che a molti di noi sia capitato di trovarsi in situazioni che potremmo definire antipatiche. Il termine antipatico deriva dal greco antico «anti», contro e «pathos», passione, affetto; insomma, situazioni che suscitano repulsione e irritazione. Del tipo che stai viaggiando in ferrovia, devi prendere una coincidenza e il tabellone (o la app) annuncia che il tuo treno è stato cancellato. Punto. Senza un motivo, senza una parola di scusa.
Fatto decisamente antipatico, ti infuri o almeno ne sei irritato. Oppure sei stato convocato in ospedale il giorno dopo un lieve intervento, alle ore 14.
Ti precipiti puntuale e nessuno si occupa di te. Passano i minuti e poi le ore. Vedi passare il «tuo» medico, ti sbracci, ma lei nemmeno ti guarda. Le ore di attesa diventano cinque, vedi la tua dottoressa vestirsi per uscire, le chiedi ragione ma lei niente, non una parola di scusa né di spiegazione. Il primo caso mi è capitato spesso, persino nella nobile stazione di Basilea. Il secondo invece è successo a Berlino, all’autore di un interessante libro sull’empatia, che è, insieme alla simpatia, il contrario dell’antipatia. L’autore del libro in questione, uscito all’inizio di questo anno 2024 in inglese, presso Palgrave Macmillan anche come open access publication, è un giovane insegnante di filosofia di un liceo ticinese, Manuel Camassa. Vi si spiega tra l’altro – il volume è molto ricco e articolato – che l’empatia non è proprio la stessa cosa della simpatia. Simpatia è parola del linguaggio comune e indica il sentimento di inclinazione e attrazione verso una persona o una cosa; empatia è invece termine del linguaggio colto e sta per capacità di mettersi nella situazione di un’altra persona, e più precisamente di comprendere i processi psichici dell’altro.
L’empatia gioca un ruolo centrale nella condotta morale. Permette di avvicinarsi all’altra persona comprendendo le sue ragioni e quindi di comportarsi in maniera adeguata. La dottoressa di Berlino così come le FFS mostrano di mancare di empatia, quella specie di «intelligenza delle emozioni» che fa sì che basti una paroletta di spiegazione o di scusa (il treno è soppresso a causa della neve, di un guasto o altro; l’ambulatorio era pieno, mi dispiace) per far sbollire l’ira e creare un’atmosfera più serena. Insomma, e più in generale, «mettetevi al posto dell’altro – scriveva già nel 1600 il grande filosofo e matematico tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz, ovvero usate l’empatia, diremmo noi oggi – e sarete nel vero punto di vista per giudicare ciò che è giusto e ciò che non lo è». Per comprendere ed essere compresi, per non scavare fossati, erigere muri o deportare esseri umani quanto per sentirsi parte di una comune umanità condivisa, come scrive Camassa. Provare per credere.