Discoteche e luoghi pubblici di divertimento sì, ma fuori dai centri abitati

Nella nostra società c’è posto per tutti. I nostri ragazzi, giovani e adulti hanno diritto (ci mancherebbe!) di godere e di divertirsi in libertà e a piacimento nel loro tempo libero, rispettando, però, le norme della civile convivenza. Ma anche i comuni cittadini hanno diritto di poter trascorrere le ore di riposo notturno in tutta tranquillità. Non così è in Via Trevano a Lugano, dove ogni fine settimana, nei pressi o all’uscita di una nota discoteca, risse, pestaggi, schiamazzi, degrado, turbano la quiete notturna e il sonno dei cittadini.
È vero, i gestori dei locali di divertimento e i «butta fuori» fanno del loro meglio per controllare la situazione all’interno degli spazi di divertimento, mentre resta loro più difficile il controllo esterno, in cui anche le forze di Polizia faticano a ristabilire l’ordine e la quiete pubblica, quando poi spuntano pistole o armi da taglio e quant’altro per ferire la vittima prescelta, la situazione diventa problematica.
Certo il fenomeno non è di facile soluzione. Il problema per le discoteche diventa più difficile ora che si vorrebbe permettere l’accesso anche ai sedicenni. Abbassare i limiti di età da 18 a 16 anni per entrare in discoteca, è il progetto del Consiglio di Stato messo in consultazione per la a revisione totale della Legge sugli esercizi alberghieri e ristorazione. I gestori sono favorevoli a questa proposta governativa, già in vigore in altri cantoni. Rimane, tuttavia, il divieto di vendita di bevande alcoliche (o distillati) ai minori di 16 anni. Ci sono, però, ancora nel «gruppo di lavoro» altri punti da chiarire.
Chi esce di casa per divertirsi con l’intenzione di fare casino e di picchiare, di compiere atti di violenza sulle persone e sulle cose; di creare degrado come, per esempio, l’urinare sui muri, vomitare su marciapiedi e proprietà private, lasciare i propri escrementi organici nei cortili delle case dei palazzi, oppure lasciando sul terreno residui di consumazioni, lattine, bottiglie e quant’altro, è un individuo con seri problemi esistenziali e relazionali. Filmare con il telefonino e postare sui social media le proprie prodezze trasgressive, è una esaltazione del proprio ego intrappolato da disturbi della personalità in un preciso meccanismo di forza e di compiacimento di sé stessi, senza vergognarsi di ciò che si è fatto.
In taluni casi il problema va affrontato alla radice con senso di responsabilità. Sì può (e si deve!) ricorrere all’auto di psicologhi e di operatori sociali per prevenire, per quanto è possibile, certi comportamenti violenti in società. Si dice: «prevenire, è meglio che guarire».
Ci si chiede in che civiltà e società viviamo, quando un individuo si comporta in società in modo anomalo, fuori da ogni norma, quando le relazioni sociali per condividere gli spazi pubblici sono basati sul rispetto delle persone e delle cose, ma anche sulla tolleranza verso chi ci sta attorno. Le cause sono parecchie, diverse le une dalle altre.
E ancora ci si domanda: dove sta l’educazione, il rispetto per l’altro, appresa in famiglia e sui banchi di scuola? Può anche accadere che la famiglia è assente o carente nei suoi compiti affettivi e educativi di crescita umana dei propri figli e delegata ad altri, alla scuola e alle agenzie educative tale compito.
In altre occasioni abbiamo detto –; ma qui, di fronte ai recenti fatti di cronaca, come l’episodio di Cadenazzo - a solo una settimana da questo fatto - un nuovo episodio di violenza si è verificato a Chiasso, dove un ragazzo del Mendrisiotto di soli 21 anni è stato arrestato, per il selvaggio pestaggio a un 34.enne italiano, è bene ricordare che né la scuola e neppure le agenzie educative possono porre le fondamenta che la famiglia – prima insostituibile cella educativa della società – non ha posto. Ci sono poi altri fattori esterni alla famiglia e alla scuola che portano i ragazzi ad essere violenti: giovani frustrati, ragazzi annoiati insofferenti contro tutti e tutto, che vivono disordinatamente, a modo loro, al margine della società civile, che frequentano persone e ambienti violenti; luoghi dove si spaccia e si consuma alcol e droga o che si aggregano al branco, dove è la legge del capo banda, la legge del più forte che conta: qui per i più deboli e vulnerabili è facile diventare violenti. Il che genera – dicono le statistiche della Polizia - un preoccupante aumento di violenza giovanile anche, purtroppo, alle nostre latitudini, spesso per futili motivi.
Al lettore di questo Giornale che - commentando un mio intervento sui ragazzi e giovani violenti -, mi ha invitato «a guardare anche dall’altra parte», dico che già, in altre circostanze, l’ho fatto. Ma parlare ai giovani di oggi non è sempre cosa scontata, ma non è neppure fare della facile retorica.
Per noi adulti si tratta di togliere le mele marce dal cesto perché non contamino quelle buone, e di saper cogliere nelle nuove generazioni (che, a scanso d’equivoci, è bene ribadirlo!) nella stragrande maggioranza sono sane, tutto ciò che in loro c’è di buono, di bello e di positivo. Cioè: saper cogliere, senza preconcetti, pregiudizi, reticenze e paure, il profumo inebriante della loro esuberante giovinezza.