Il commento

Economia e redditi reali

La politica economica non deve più concentrarsi sul «benessere» dei mercati finanziari, ma sull’economia reale e sui redditi reali dei lavoratori
Alfonso Tuor
07.08.2024 06:00

Non ha importanza sapere se il «Lunedì nero» delle Borse è una momentanea correzione dei mercati e se l’economia americana sta entrando in recessione. Fondamentale è capire che la continua stampa di nuova moneta voluta per finanziare i debiti pubblici e per sostenere i mercati finanziari e quindi eccitare la claque dei suoi prezzolati economisti è insostenibile. Questa politica seguita da un ventennio dall’Occidente ha prodotto una crescita anemica o «drogata» come negli Stati Uniti, una crescita bassa della produttività e non ha fornito le risorse e soprattutto la volontà politica di affrontare il crescente problema dell’esplosione delle diseguaglianze. La politica economica non deve più concentrarsi sul «benessere» dei mercati finanziari, ma sull’economia reale e sui redditi reali dei lavoratori. Occorre finalmente un cambiamento radicale di politica economica.

Infatti il «Lunedì nero» è stato causato dalle decisioni della banca centrale giapponese, ossia della maggiore zecca del mondo. La settimana scorsa Tokyo ha infatti deciso di abbandonare la politica dei tassi d’interesse zero e di portarli allo 0,25%, ma ha deciso - ed è la questione cruciale - di dimezzare la stampa di yen, ossia della moneta nipponica. Bisogna ricordare che questa politica voluta per uscire dalla depressione ha fatto sì che la Bank of Japan detenga circa i due terzi del debito pubblico nipponico (che supera il 200% del PIL), quote azionarie e altre attività. Il risultato è stato che Tokyo è diventato uno dei principali alimentatori della liquidità mondiale. Infatti i finanzieri del resto del mondo si finanziavano in yen a un costo di poco superiore allo zero percento per poi convertirli in dollari per investirli a Wall Street o in altre attività. La parziale chiusura di questo rubinetto di liquidità ha portato molti a cercare di chiudere il prima possibile queste operazioni, spingendo al rialzo lo yen e facendo precipitare la Borsa di Tokyo che si regge su società votate all’export. Appare molto probabile che la banca centrale giapponese rallenterà o addirittura sospenderà il ritiro della liquidità e soprattutto cercherà di spingere al ribasso lo yen, il cui forte rialzo oggi rappresenta il costo maggiore di queste operazioni. Lo scopo è fugare il terrore che sta pervadendo gli speculatori, anche perché le cifre in gioco sono enormi.

Allo choc proveniente dal Paese del Sol Levante si è aggiunto il timore di una prossima recessione negli Stati Uniti e la convinzione che le prospettive mirabolanti delle società attive nell’intelligenza artificiale (i famosi magnifici Sette) erano state nettamente sopravvalutate. Lo scetticismo è d’obbligo: appare sorprendente che un dato deludente sul mercato del lavoro americano basti a cambiare così repentinamente le previsioni della banca centrale statunitense, dell’amministrazione Biden e dell’ampia corte dei prezzolati analisti che hanno festeggiato fino alla settimana scorsa gli ottimi risultati dell’economia a stelle e strisce. Tutto può succedere soprattutto in tempi di campagna elettorale e di competizione tra le tradizionali banche di Wall Street e i concorrenti dei grandi fondi di investimento (come Blackrock, State Street ecc.) che stanno raccogliendo una crescente percentuale del risparmio americano. Un forte ribasso della Borsa è infatti più dannoso per questi ultimi.

È tuttavia probabile che gli interventi delle banche centrali occidentali (già si parla di un intervento eccezionale della Federal Reserve) e soprattutto le loro nuove iniezioni di liquidità nel sistema cercheranno di spegnere nel più breve tempo possibile l’incendio appiccato dal «Lunedì nero». Il segnale però rimane forte: non si può andare avanti con economie balbettanti o «drogate» (con bilanci delle banche centrali che non sono mai stati così sovradimensionati e debiti pubblici in continuo aumento). Occorre una svolta. Bisogna finalmente puntare sulla crescita della produttività, dell’economia reale e dei redditi reali dei lavoratori (che sono stati anemici nell’ultimo ventennio) per raccogliere le risorse per affrontare le crescenti diseguaglianze sociali, i cambiamenti climatici e i sempre più diffusi problemi di convivenza nelle nostre società. Per fare ciò bisogna che le classi dirigenti abbandonino l’illusione che i servizi finanziari rappresentino una scorciatoia per la crescita. Le speranze di una svolta sono infime, ma speriamo che a furia di «Lunedì neri», tensioni sociali e risultati elettorali che invocano una svolta si possa evitare il peggio.