Atomo, il nodo è arrivato al pettine
È ovvio che la presenza di Albert Rösti alla guida del Dipartimento dell’energia è stata decisiva per spingere il Consiglio federale a proporre un dietrofront sull’energia nucleare. Ma la messa in discussione del divieto di costruire nuove centrali atomiche non è solo il prodotto di contingenze politiche. Prima o poi, complice l’iniziativa popolare «Stop al blackout», era inevitabile che il nodo venisse al pettine. Negli ultimi sette anni è stato avviato un processo per la transizione energetica che deve continuare senza indugi, ma sono venuti alla luce anche nuovi problemi e contraddizioni che giustificano, almeno sulla carta, l’apertura a tutte le soluzioni rispettose del clima: un ambito nel quale, oggi, danno il loro contributo i quattro reattori ancora in attività. Rispetto al passato recente l’asticella del fabbisogno si è alzata, per varie ragioni. Si era partiti con l’idea di dimezzare le emissioni di gas a effetto serra mentre ora si rende necessario uno sforzo supplementare per raggiungere l’obiettivo, maturato nel frattempo, della neutralità climatica entro il 2050. La geopolitica, con la guerra in Ucraina, ha riportato di prepotenza sul tavolo la questione della sicurezza dell’approvvigionamento e dei limiti delle importazioni.
Quanto alle previsioni iniziali sullo sviluppo demografico sono ormai state superate dai fatti; ne consegue che bisognerà produrre di più. E soprattutto, l’espansione delle rinnovabili, specialmente di origine solare ed eolica, a fronte dei molti progetti sul tappeto sta incontrando resistenze a livello locale. L’obiettivo della protezione del clima e quello della protezione della natura rischiano di neutralizzarsi. In questo contesto è giusto interrogarsi, pragmaticamente, sull’opportunità di mantenere il rifiuto di principio del nucleare. Quello del Governo, del resto, è solo un primo passo su una strada che si prospetta lunga e tortuosa, al termine della quale la decisione finale spetterà alle urne. Si profilano sin d’ora due tipi di difficoltà. Innanzitutto a livello parlamentare, dove altri tentativi di allentare il divieto sono falliti e le resistenze ora si stanno organizzando. La sinistra minaccia il referendum, mentre il Centro non ha usato mezzi termini per contestare il Consiglio federale.
Se del caso, il popolo avrà sicuramente l’ultima parola e potrà decidere con conoscenza di causa. In secondo luogo c’è la realtà del mercato: un conto è voler parlare di nucleare, un altro avere gli strumenti per realizzarlo. Axpo e BKW hanno già detto che nuove centrali non sarebbero redditizie. Per costruirle occorrerebbero anche forti garanzie finanziarie statali che non fanno parte di questa fase della discussione. C’è anche il fattore tempo: un eventuale nuovo impianto richiederebbe come minimo vent’anni per essere progettato e realizzato, un periodo nel quale molte cose possono cambiare, scoraggiando i potenziali investitori. D’altra parte, anche le associazioni ambientaliste dovranno fare la loro parte. Rösti ha dichiarato che non ci sarà bisogno di nuove centrali se l’espansione delle rinnovabili procederà speditamente.