Benjamin Netanyahu e il duello con il nemico più temibile
Ieri in Israele sono state commemorate le vittime della carneficina compiuta dai terroristi di Hamas il 7 ottobre del 2023. Per i familiari delle 1.200 persone perite nella spaventosa strage, il ricordo di quanto accaduto ai loro cari in quel funesto giorno continua ad essere fonte di profondo dolore. Per non parlare della sofferenza dei parenti del centinaio di ostaggi che ancora si trovano nelle mani di spietati aguzzini indottrinati dall’estremismo islamico.
Sofferenza, da parte dei parenti delle vittime del massacro del 7 ottobre, che col tempo si è trasformata anche in rabbia nei confronti del premier Netanyahu, in quanto non solo si è mostrato incapace di proteggere la propria popolazione dagli attacchi di Hamas, ma non ha saputo neppure strappare dalle grinfie dei terroristi islamici gli ostaggi finiti nelle loro mani. Delle 251 persone catturate un anno fa dai sanguinari miliziani, oggi ve ne sono ancora un centinaio nei cunicoli sotterranei della striscia di Gaza, non si sa però quante siano ancora vive e in quali condizioni siano ridotte.
Ieri mattina i parenti degli ostaggi si sono radunati davanti alla residenza di Netanyahu per rammentargli il loro dramma e chiedere un accordo per la loro liberazione. Il premier israeliano ha ribadito l’impegno del Governo per la liberazione di tutti i rapiti, ma al momento le sue priorità sembrano altre.
La risposta militare israeliana al massacro del 7 ottobre, più che legittima, mirava ad annientare le milizie di Hamas. Una vera e propria guerra condotta senza esclusioni di colpi e per questo criticata da più parti per l’elevato numero di civili palestinesi morti durante i bombardamenti dell’esercito con la stella di David.
I terroristi di Hamas che nel corso degli ultimi 12 mesi hanno perso moltissimi uomini nello scontro aperto con lo Stato ebraico, ieri hanno mostrato il loro fanatismo lanciando di nuovo razzi contro Israele e dichiarando che nonostante le perdite subite sono convinti di poter vincere la loro battaglia. Una battaglia che purtroppo negli ultimi mesi ha coinvolto altri attori della tormentata regione mediorientale. Oltre ai miliziani di Hezbollah, che fin dalle prime fasi dello scontro armato tra lo Stato ebraico e i terroristi di Hamas hanno iniziato a colpire il nord di Israele, anche gli estremisti islamici Houthi sono scesi in campo a fianco dei palestinesi, arrivando a colpire lo Stato ebraico con dei missili lanciati dal lontano Yemen. Hamas, Hezbollah, Houthi e altre milizie rappresentano i tentacoli di una temibile piovra chiamata Iran, o meglio regime islamico. Il regime degli ayatollah e i guardiani della rivoluzione auspicano la distruzione d'Israele.
Se Hamas ed Hezbollah hanno potuto sviluppare delle milizie armate fino ai denti, è soprattutto grazie al sostegno di Teheran, il cui ayatollah Ali Khamenei non perde occasione per attaccare Israele. Dopo l’uccisione da parte dell’esercito israeliano del leader di Hezbollah Nasrallah, la guida suprema dell’Iran è recentemente riapparsa in pubblico per dire che se necessario Israele verrà colpito di nuovo.
Con ogni probabilità ci troviamo di fronte alla fase più rischiosa di questo conflitto che rischia di sfuggire di mano agli attori in campo. Netanyahu ha lasciato chiaramente intendere che ci sarà una risposta militare al recente attacco missilistico iraniano contro obiettivi militari dello Stato ebraico. Non si sa come e quando verrà colpito l’Iran, ma il fanatismo di Khamenei e dei guardiani della rivoluzione fa temere un’escalation del conflitto. Non aiutano certo a calmare le acque le prese di posizione di Donald Trump che ha incitato Netanyahu a colpire i siti nucleari iraniani. E fra meno di un mese Trump potrebbe vincere le elezioni USA.