L’opera che vorrei

Colazione sull’erba

La rubrica di Salvatore Maria Fares
Édouard Manet - «Colazione sull’erba». 1863 - Musée d’Orsay, Parigi. ©ProLitteris
Salvatore Maria Fares
Salvatore Maria Fares
23.09.2020 06:00

È una delle personalità di spicco nella Parigi artistica del suo tempo, con una inclinazione all’indipendenza da ogni accademismo e corrente, fino a non volere essere considerato un impressionista. Non volle seguire la stessa carriera del padre, magistrato, e si impose per seguire la strada dell’arte, in cui fino alla fine della sua vita operò ponendo come principio fondamentale dell’ispirazione l’assoluta libertà espressiva. Con due opere celeberrime, Colazione sull’erba e la discussa Olympia, concretò questo principio imponendosi all’attenzione di un pubblico vastissimo non tutto in sintonia con le sue scelte considerate spesso «azzardate». Del resto apparteneva a uno stuolo di artisti che si muovevano fra laicità e trasgressione, ciò che aveva avvicinato la gente comune alla pittura senza più gli orpelli devozionali legati all’arte che sovrastava i fedeli nei luoghi sacri. Manet non volle mai essere identificato col gruppo degli impressionisti né partecipò mai alle loro esposizioni. Questo perché lungo tutta la sua carriera preferì ottenere l’ammissione al Salon grazie allo Stato e non «attraverso sotterfugi», come lui stesso affermò. Per questo si batté in difesa del principio della libertà espressiva dell’artista con opere che suscitarono scandalo presso i suoi contemporanei, come questa, il suo quadro più celebre, e la discussa Olympia, che aveva tratto, rielaborandola, dalla Venere di Urbino di Tiziano, che ridisegnò vedendola nel suo viaggio in Italia.
Desiderava entrare all’Ecole des Beaux-Artes ma il padre, contrario, con un giudizio impartito solo per diritto familiare lo fece imbarcare e così andò in Brasile «in vacanza» per un anno. E si rafforzò nelle sue idee libertarie. Fra i suoi amici poi ci furono subito Berthe Morisot che lo fece conoscere a Degas, Monet, Renoir, Sisley, Paul Cézanne e Camille Pissarro. Una bella squadra. Ma la Morisot riteneva il nero un non colore, mentre lui ne fece una tinta importante.

Al contrario di Monet usa magistralmente il nero, che caratterizzò tanti suoi lavori, che portavano al protagonismo dell’anonimato la gente comune raffigurata. Il suo Bevitore di assenzio, in nero, è molto noto; anche in altri quadri segue un genere di soggettistica piuttosto popolaresca, come accattoni, cantanti, zingari, personaggi dei caffè e toreri anche sfortunati. Era un altro modo per uscire dall’aulicità e dagli accademismi. Puccini compone la sua Bohème quasi trenta anni dopo La Colazione sull’erba e mosse qualche critica moralistica ma apriva alla gente comune. Parigi a Puccini suggeriva inconsuetudini amorose ma impressioni di vita autentica. Nell’opera dallo stesso titolo invece Monet veste la protagonista e valorizza così quella di Manet, che con quella nuda supera «la banalità del verismo». Con un’opera eccelsa come Il concerto campestre allora attribuita a Giorgione, alla quale alcuni accostano questa di Manet, che ne era ammaliato, le dee e qualche eroina biblica scendono a terra. Ormai la storia dell’arte è entrata nella modernità in cui presto entrerà l’espressione con le correnti del primo Novecento.