Difesa, Martin Pfister subito sul pezzo

Chi ben comincia, dice il proverbio, è a metà dell’opera. Sarebbe prematuro, oltre che fuori luogo, applicarlo già ora a Martin Pfister, in carica da soli dieci giorni e con un’agenda molto fitta di matasse da sbrogliare. Per i primi bilanci ci sarà tempo. Ma c’è la sensazione che il nuovo «ministro» della Difesa, pur senza fare nulla di spettacolare, sia partito col piede giusto. Da quando si è insediato ha preso tre decisioni interne significative. La prima è la nomina di una commissione cerca per il futuro capo dell’Intelligence, un ruolo chiave per la sicurezza. L’attuale titolare Christian Dussey lascerà alla fine di marzo del 2026, ma la sua sostituzione sarà più difficile di quella del capo dell’esercito, che resterà solo sino a fine anno. Il Servizio delle attività informative della Confederazione, di fatto la prima linea di difesa del Paese, è da due anni in una fase di intensa riorganizzazione. Mancano risorse e i sondaggi sulla soddisfazione del personale hanno evidenziato lacune e problemi nei processi di lavoro, nella direzione, nella coesione e pure nell’attuazione della riforma interna. Il nuovo capo dovrà essere una persona non solo di fiducia per il titolare del dipartimento ma anche credibile per i servizi dei Paesi partner, dai quali la Svizzera dipende sempre di più per la ricerca di informazioni. Più tempo a disposizione c’è per vagliare i profili, meglio sarà per trovare una persona all’altezza. La seconda decisione è la nomina di Robert Scheidegger, proveniente dal Controllo federale delle finanze, alla guida di una nuova divisione dipartimentale, nella quale verranno riuniti tutti i settori che si occupano della gestione di progetti. Negli ultimi tempi, il DDPS era finito nell’occhio del ciclone a livello politico per la situazione problematica di alcuni (anche molto costosi) progetti chiave. Un ambito nel quale Pfister ha ritenuto subito opportuno intervenire. In terzo luogo, c’è la nomina (condivisa con il Governo) del nuovo capo delle Forze aeree, in vista della partenza di Peter Merz. La scelta dell’attuale numero due, Christian Oppliger, è stata fatta nel segno della continuità e permette di sistemare un importante tassello ai vertici dell’esercito, dove prossimamente dovranno essere fatte altre nomine di peso. Per Pfister, un prossimo test sarà in giugno, quando dovrà difendere in Parlamento il messaggio sull’esercito. L’altro giorno, la Commissione della politica di sicurezza del Nazionale ha deciso di aggiungere al programma di armamento 2025 una spesa di 1 miliardo di franchi per l’acquisto di munizioni destinate alla difesa terra-aria e all’artiglieria. Questa decisione, per la quale non è ancora stato individuato un finanziamento, ha messo a nudo i limiti delle scelte operate in passato dal dipartimento. Come rilevava l’AargauerZeitung, il DDPS si è limitato ad acquistare l’occorrente per l’addestramento e poco più, preferendo distribuire le risorse fra vari settori della Difesa senza chiare priorità. In questo senso, aumentano le aspettative anche per la risposta che il Consiglio federale dovrà dare nei prossimi mesi al Parlamento, che lo scorso dicembre lo aveva incaricato di definire obiettivi e orientamento strategico «di un esercito capace di difendere, al fine di fare chiarezza e disporre di basi solide ». Toccherà a Pfister per primo stabilire concretamente come e secondo quali priorità, indicando la rotta in Consiglio federale. In agguato, intanto, c’è sempre la questione degli F-35. Prima con l’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump, poi con le sue decisioni sui dazi, la sinistra è tornata all’attacco chiedendo di annullare il contratto con gli Stati Uniti per la fornitura dei nuovi aerei da combattimento. Anche l’ex presidente della Banca Nazionale Philipp Hildebrand, secondo cui la Svizzera si deve avvicinare all’Europa, ha messo in causa l’acquisto dei jet americani. Il Consiglio federale, finora, si è mosso abilmente sulla questione dei dazi, preferendo il dialogo allo scontro e rinunciando a contromisure. Ma la questione resta aperta e quindi, si può supporre, anche quella degli F-35. Il Governo ha già detto una prima volta no all’annullamento del contratto (sono già stati spesi 700 milioni di franchi) e confermato che le ragioni che hanno portato alla scelta dell’aereo sono tuttora valide. Anche qui verrebbe chiamato in causa Pfister. È auspicabile, se del caso, che la barra venga tenuta ben dritta e che il futuro della difesa aerea non diventi ostaggio di altri interessi. Sia perché non è stracciando l’accordo sugli aerei che la Svizzera rafforzerebbe la sua posizione sui dazi a Washington, sia perché non si può creare una falla nella sicurezza credendo di poter rapidamente sostituire un modello con un altro, oltretutto meno performante.