L'editoriale

Donald Trump, la geopolitica e il mistero degli umori

Quello che emerge, come tratto caratteristico del potere trumpiano, è l’indole dell’uomo d’affari, più che dello statista, che tratta a oltranza con chiunque
Ferruccio de Bortoli
Ferruccio de Bortoli
23.12.2024 06:00

La geopolitica degli umori volubili. Siamo tutti aggrappati a un solo grande interrogativo: che cosa farà Donald Trump? Diciamo subito che questo è il più singolare dei paradossi delle democrazie rappresentative. Perché alla fine rischiano di dipendere persino troppo dal carattere di una sola persona, neanche fossero delle pallide imitazioni dei regimi autoritari. Scrivevamo su queste colonne, al momento dell’imprevedibile debutto del primo Trump, che i pesi e i contrappesi di una grande democrazia, oltre al limite del buon senso, ne avrebbero stemperato gli eccessi. In parte è quello che è accaduto. I dazi (contro la Cina e l’Europa) non hanno sconvolto il commercio internazionale. È probabile che accada qualcosa di analogo anche stavolta. La replica dei tagli fiscali (dal 21 al 15% per le aziende) appare sicura. Il mercato azionario, ai massimi, si aspetta almeno nel breve periodo una crescita robusta. Il debito, previsto al 130 per cento nel 2027, non preoccupa. Ma ben 38 repubblicani, minacciati peraltro da Elon Musk, hanno detto no al presidente eletto che voleva abolire il tetto all’indebitamento. La promessa di deportazioni in massa sembra sempre di più una boutade. Sulla politica estera si addensano le maggiori preoccupazioni ma gli accordi di Abramo, che oggi sono fondamentali per arrivare almeno a un cessate il fuoco tra Israele e Hamas, li firmò Trump nel 2020.

Oggi il presidente eletto ha un consenso più ampio. A dimostrazione della vitalità persino sorprendente della democrazia americana nella quale si è andato a votare in massa. In molti Paesi europei accade il contrario. E, piccolo particolare, nessuno ha messo in dubbio la legittimità della sua vittoria. La polarizzazione della società resta preoccupante; la delegittimazione reciproca tra schieramenti però sembra essersi attenuata. Trump controlla il Congresso, la maggioranza della Corte Suprema è conservatrice, ma è impensabile che faccia strame delle istituzioni, che costringa i dipendenti pubblici ad assoggettarsi alla legge del capo anziché alle regole di uno stato di diritto. Ci proverà, è nella sua natura, ma le resistenze non saranno poche. Il soccorso al vincitore è pratica diffusa e ingrossa la fila di miliardari imprenditori del web fuori dalla residenza di Mar-a-Lago. Ma c’è, preziosa garanzia, la grande tradizione dell’informazione. Anche se negli ultimi temi è più schierata da una parte e dall’altra e meno coraggiosa.

Quello che emerge, come tratto caratteristico del potere trumpiano, è l’indole dell’uomo d’affari, più che dello statista, che tratta a oltranza con chiunque. Disposto a cambiare idea senza troppi problemi di coerenza. Il Trump 1 detestava le criptovalute; il Trump 2 le ama incondizionatamente. Il primo voleva chiudere la cinese Tik Tok, il secondo finirà per salvarla dall’obbligo di vendere la sua branca statunitense. C’è una costante con gli alleati della Nato: costringerli ad aumentare le spese della Difesa. Addirittura in questi giorni pretendendo che destinino agli eserciti il 5% del loro Prodotto interno lordo (l’Italia è ancora all’1,5%). Un’arma negoziale, è il caso di dirlo, che verrà meno solo di fronte all’impegno di acquistare più prodotti americani. Non solo nei sistemi di difesa ma anche, per esempio, nell’energia. Il gas liquefatto statunitense ha sostituito parte di quello russo, meno costoso, che comunque l’Europa continua ad acquistare. La promessa di terminare la guerra in Ucraina in ventiquattr’ore si è già dissolta. Contrariamente a quanto detto in campagna elettorale, Trump continuerà a inviare armi a Kiev. Non si può far vincere Putin. Altro imperscrutabile mistero della geopolitica degli umori. Nell’era dell’intelligenza artificiale siamo appesi a quelli.

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