Donald Trump, l'onda d'urto che scuote l'Europa
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Oggi è atteso l’intervento del neopresidente USA al WEF di Davos. Lasciamoci stupire dal messaggio che il nemico giurato della globalizzazione lancerà agli ospiti del World Economic Forum, appuntamento annuale al quale i leader politici ed economici di mezzo mondo partecipano per affrontare insieme le principali sfide con cui l’umanità è confrontata.
La collegialità tra leader mondiali è un abito che a Trump sembra stare un tantino stretto. Soprattutto ora che afferma di essere giunto al potere grazie a quel Dio misericordioso che lo scorso 13 luglio lo ha salvato, sostiene The Donald, dagli spari di uno squilibrato durante un comizio a Butler, in Pennsylvania, per permettergli di tornare alla guida del Paese. E ora che si ritrova in tasca le chiavi della Casa Bianca, il commander in chief è già partito alla carica a suon di ordini esecutivi.
Come aveva già fatto nel corso del suo primo mandato, Trump ha sfoderato anche l’arma dei dazi commerciali per portare avanti la sua strategia MAGA («Make America great again», rendere l’America di nuovo grande). Tra i primi Paesi a pagarne le conseguenze figurano Canada e Messico, ossia i due grandi Stati che confinano rispettivamente a Nord e a Sud con gli USA. Ma sul fronte dei dazi il nuovo inquilino della Casa Bianca non sembra disposto a fare sconti a nessuno. Se la Cina, principale rivale di Washington, sia in ambito strategico, sia in quello commerciale, ha già avuto una chiara messa in guardia per quanto riguarda l’innalzamento dei dazi sui prodotti esportati verso gli Stati Uniti, anche i tradizionali alleati occidentali saranno presto messi sotto pressione. E a tale proposito i timori del mondo imprenditoriale nel Vecchio continente sono piuttosto elevati.
In ambito europeo un recente sondaggio della Camera di commercio euro-americana ha rivelato che l’89% delle aziende prevede un peggioramento delle relazioni commerciali e di investimento. Anche nel nostro Paese si temono possibili innalzamenti dei dazi USA, considerato che la bilancia commerciale tra i due Paesi pende nettamente a favore dell’export elvetico. Nel 2023 la Svizzera ha infatti importato dagli Stati Uniti beni per un valore di 29,7 miliardi di franchi, mentre ne ha esportati per 56,6 miliardi di franchi, facendo degli Stati Uniti il principale Paese di destinazione di merci svizzere all’estero. Duplice la reazione dei vertici UE ai toni minacciosi di Trump in ambito commerciale. Da un lato è stato affermato che Bruxelles è pronta a rispondere con la stessa moneta a nuovi dazi americani, dall’altro la presidente della Commissione von der Leyen, ha affermato che le divergenze con Washington saranno affrontate con pragmatismo. Il fatto è che i fronti di scontro tra le due sponde dell’Atlantico potrebbero estendersi a diversi altri settori. A cominciare dalla collaborazione in ambito militare e dalla gestione del braccio di ferro con Mosca legato all’invasione russa dell’Ucraina. Per non parlare poi del fronte finanziario, con Trump divenuto all’improvviso un fautore della deregolamentazione nell’ambito delle criptovalute.
In gioco vi sono ingenti movimenti finanziari, con svariati miliardi di euro che potrebbero lasciare l’UE alla volta degli Stati Uniti (le criptovalute sono tendenzialmente denominate in dollari), se nel Paese nordamericano i rendimenti e gli spazi di manovra nel settore si facessero più interessanti.
Di fronte all’onda d’urto Trump, l’UE appare debole e impreparata. Manca l’unità di intenti e la volontà di resistere a un presidente USA che ha dietro di sé i big del settore delle nuove tecnologie e la maggioranza alla Camera e al Senato. Le elezioni di febbraio in Germania ci diranno se l'ex locomotiva d’Europa troverà un Governo solido per guidare il rilancio.