L'editoriale

Ecco perché Trump rischia di spingere l'economia globale in recessione

La Banca centrale europea ha tagliato il tasso di riferimento al 2,25% - Si teme un forte rallentamento causato dall'instabilità generata dai dazi commerciali americani
Generoso Chiaradonna
18.04.2025 06:00

La guerra commerciale scatenata da Donald Trump entra anche nelle stanze delle banche centrali influenzandone le scelte. Le politiche protezioniste e le barriere doganali, è noto, hanno effetti inflattivi per chi le adotta e deflattivi per le economie che le subiscono. Entrambe hanno, almeno nell’immediato, un potenziale recessivo che può toccare l’intera economia globale. È anche tenendo presente questo scenario che la Banca centrale europea (BCE) ha dato un altro taglio di un quarto di punto ai tassi guida, portando quello di riferimento al 2,25%. Della stessa entità il taglio per gli altri tassi, quello sulle operazioni di rifinanziamento che scende al 2,40% e quello sui prestiti marginali che cala al 2,65%.  

Una scelta, quella della BCE, praticamente obbligata per evitare una spirale deflazionista e rallentare l’apprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro che equivale a una sorta di auto dazio che peggiora la competitività dell’industria europea. Un brusco rallentamento della crescita già asfittica dell’economia dell’eurozona è quindi atteso tanto che la parola recessione non è più tabù. Con la stessa situazione è confrontata anche la Banca nazionale svizzera (BNS) che però ha margini di manovra più stretti avendo già portato allo 0,25% il tasso di riferimento lo scorso marzo. Il rischio è che a giugno si vada a tassi nulli con lo spettro del ritorno dei tassi negativi entro la fine dell’anno. In passato la BNS ha sorpreso analisti e osservatori adottando misure non ortodosse sul mercato delle valute come l’introduzione della soglia minima di cambio tra franco ed euro (il famoso floor a un franco e venti per un euro). Non è detto che questa volta, oltre all’attivismo sul mercato delle divise con l’acquisto di attività in dollari ed euro, la BNS non sorprenda con un’innovazione valutaria simile quella del 2011. 

Tornando alla Banca centrale europea le parole usate dalla presidente Christine Lagarde sono misurate e per certi versi ottimiste. Si afferma che l’economia dell’area dell’euro «ha acquisito una certa capacità di tenuta agli shock mondiali, ma le prospettive di espansione si sono deteriorate a causa delle crescenti tensioni commerciali». E si continua: «È probabile che la maggiore incertezza riduca la fiducia di famiglie e imprese e che la risposta avversa e volatile dei mercati alle tensioni commerciali determini un inasprimento delle condizioni di finanziamento». «Tali fattori possono gravare ulteriormente sulle prospettive economiche per l’area dell’euro». Tradotto vuole dire che il rischio di recessione non è remoto. «Le prospettive economiche sono offuscate da incertezze eccezionali», ha continuato la presidente della Banca centrale europea riferendosi allo «sconvolgimento del commercio internazionale», alle tensioni sui mercati internazionali e all’incertezza geopolitica che pesano su consumi e investimenti. Il clima creato dalla guerra commerciale «abbasserà la crescita indebolendo l’export», rischia di pesare su investimenti e consumi e «potrebbe portare a una stretta sulle condizioni finanziarie». 

A certificare che il clima economico non è più quello di tre mesi fa, anche se - a onor del vero - non è che la situazione internazionale, con conflitti armati (Ucraina e Medio Oriente) sempre sull’orlo di deflagrare oltre i loro confini, fosse il migliore dei mondi possibili, ci ha pensato anche Jerome Powell, il governatore della Fed a riportare l’attenzione sui rischi connessi ai dazi. Ricordando il doppio mandato della Fed (piena occupazione e bassa inflazione), Powell ha confermato che tariffe doganali così alte potrebbero mettere in difficoltà la banca centrale nel raggiungere entrambi gli obiettivi. Dalla prossima riunione del 6-7 maggio potrebbe non arrivare il taglio dei tassi auspicato dalla Casa Bianca.  

Le posizioni del presidente Donald Trump sul commercio internazionale e sul ruolo degli Stati Uniti (lo slogan America First dice tutto) erano note e già sperimentate durante il suo primo mandato tra il 2017 e il 2021. Sorprende, forse, la foga con cui la sua amministrazione intende ridisegnare gli scambi internazionali e riequilibrare i disavanzi americani - di bilancio e commerciale - con l’estero. Sta di fatto usando i dazi come una clava appoggiata sul tavolo negoziale dei paesi amici invitandoli a seguirlo nella guerra commerciale contro la Cina.