Espressioni colorite su sfondo grigio
Il momento attuale della politica è contraddistinto da frasi ad effetto che diversi esponenti di primo piano hanno proposto per lanciare messaggi, formulare critiche e smarcarsi. In ordine sparso ricordiamo «il Governo del Mulino bianco» disegnato dall’UDC Piero Marchesi, «il Governo stanco» descritto dal PLR Alessandro Speziali e il Governo «che guida l’auto a fari spenti» abbozzato da Fiorenzo Dadò (Centro). Da parte dell’Esecutivo citiamo invece tre frasi, quella di Claudio Zali nell’aula parlamentare: «Da voi frescacce di una pochezza indecente, scritte e sottoscritte in malafede» e da un testo dell’altro leghista nella stanza dei bottoni, Norman Gobbi che ha suggerito «un po’ di camomilla accompagnata da una decisa e forte pressione sul tasto “reset” per abbassare i toni», terminando con il liberale radicale Christian Vitta a rimarcare «l’illusione della risposta statale a ogni necessità della società». Di tutto un po’. Di tutto troppo? Nessuno si scandalizzi, come diceva un collega di lungo corso in redazione, la politica è passione, emozioni anche scontro e non deve essere per forza il luogo del politically correct. La provocazione è parte integrante di questo mondo. A patto che poi sia in grado di generare qualcosa e non resti fine a sé stessa. Noi non amiamo particolarmente le frasi dette in stretto politichese, quello stile della forma con il quale un tempo ci si faceva belli senza dire nulla di sostanzioso, procedendo sommessamente con frasi fatte rese magari roboanti da un tono autoritario e qualche volta autorevole. Oggi genera solo uno stato di noia e sbadigli. Poi, ammettiamolo, i politici di un tempo erano meno amministratori e più sanguigni, arrivavano persino a darsi «dell’illustrissimo», ma erano poi capaci di una sintesi, di un compromesso con una stretta di mano.
Ora le sparate, spesso in campagna elettorale (ma questo concetto non ha più un limite temporale definito), viaggiano alla velocità dei social, all’insegna dell’immediatezza, essendo dettate dalla pancia e non elaborate facendo uso della testa. C’è poi un fenomeno che si sta diffondendo, definito in partenza dalla Lega e che ora è realtà anche nel PLR. Si tratta dello scollamento tra i partiti di Governo e la loro rappresentanza in Consiglio di Stato che ha appunto visto come precursori i leghisti della prima ora, quei bastian contrari che massacravano in Gran Consiglio l’elegante e generoso Marco Borradori. Questo trend risponde ai tempi moderni della politica, dove allinearsi significa sparire dalla scena, appiattirsi su una tesi, seppur propositiva, elaborata nella stanza dei bottoni. Un comportamento che non è ritenuto «pagante». L’etichetta di protagonista, volenti o nolenti, spetta solo a chi si oppone, a chi combatte, a chi mira a riformare, talvolta magari anche vendendo illusioni. Un po’ di animosità, come quella che traspare dalle frasi citate in partenza, non guasta. E non sta scolpito nella pietra che un partito con un esponente in Consiglio di Stato debba appiattirsi sulla tesi del suo rappresentante o del collegio governativo. In ordine di tempo l’ultimo partito che ha cercato di fuggire scrollandosi di dosso il ruolo istituzionale, seguendo la tentazione di schierarsi tra gli scettici e i contrari sui più disparati temi, è stato il PLR. Speziali e i suoi stanno imparando a togliersi di dosso un po’ di polvere, accumulata in anni di spasmodica attenzione istituzionale e hanno assunto posizioni contro la corrente del collegio e di Vitta stesso. Alla fine pare di capire che questo faccia bene ad entrambi, in particolare al direttore del DFE. Sarà un caso ma da quando i liberali radicali si sono distanziati dalla rotta governativa, Vitta ha alzato i toni affermando ciò che non aveva mai detto (o osato) dire, anche nei confronti della Berna federale. Non uno sfogo, ma una presa di posizione profilata.
Tutto questo ci dice che la politica è viva, che il sistema non è per forza agonizzante come si potrebbe credere da una lettura superficiale, che c’è la speranza di trovare delle soluzioni, a patto di riuscire ad andare oltre alle espressioni colorite, oltre alla frase ad effetto che non deve rimanere fine a sé stessa e buona solo per fare discutere o catturare l’attenzione. Il problema della sintesi sembra determinato dallo sfondo sul quale si muovono i partiti e i protagonisti della politica. Una tela che appare tristemente grigia e sulla quale il colore non fa presa perché manca la convinzione delle proprie idee, della capacità di realizzarle e, soprattutto, la forza di fare squadra affinché la politica delle parole si trasformi alla fine in quella dei fatti. La piega che hanno preso «le cose» della politica negli ultimi tempi può indurre ad abbandonare l’entusiasmo, ma occorre non demordere e sperare che la legislatura in corso non finisca (ancora) in un nulla di fatto.