Germania, le riforme e il tabù del debito

La Germania sta attraversando una crisi complessa, con radici sia congiunturali che strutturali, che ne hanno minato la tradizionale forza economica e il suo ruolo di locomotiva continentale. Uno dei fattori principali è la perdita dell’accesso al gas russo a basso costo, conseguenza del conflitto in Ucraina iniziato nel 2022. Per anni, questo approvvigionamento energetico economico ha sostenuto l’industria tedesca, in particolare i settori energivori come la manifattura e l’automobile. Con lo stop alle forniture russe, i costi energetici sono saliti vertiginosamente, erodendo la competitività delle aziende tedesche sui mercati globali. Gli ultimi due anni sono stati logoranti per l’economia tedesca con il PIL, il Prodotto interno lordo che è arretrato in totale dello 0,5%. A prima vista appare poca cosa, ma è uno smacco per la prima economia europea che arranca rispetto, per esempio, agli Stati Uniti che da mercato di sbocco dei prodotti tedeschi sta per alzare barriere doganali verso il resto del mondo che potrebbero peggiorare ancora di più la congiuntura economica. Lo scontento sociale per questa lunga stagnazione ha alimentato anche il malessere politico. L’avanzata dei partiti populisti – l’AfD a destra e Die Linke a sinistra - è frutto anche di questa situazione.
Un altro elemento chiave è la dipendenza dalle esportazioni, che ha reso la Germania vulnerabile ai cambiamenti negli equilibri geopolitici e commerciali. La Cina, un mercato cruciale per l’export tedesco, sta rallentando la sua crescita economica, riducendo la domanda di prodotti “made in Germany”, soprattutto nel settore automobilistico. Questo comparto, simbolo dell’industria tedesca, è in difficoltà anche per la transizione verso la mobilità elettrica: aziende storiche come Volkswagen faticano ad adattarsi rapidamente, e perdono terreno rispetto ai concorrenti, in particolare cinesi. A livello interno, la Germania sconta problemi strutturali che ne rallentano – a detta di molti osservatori - la capacità d’innovazione e gli investimenti. Le infrastrutture, un tempo fiore all’occhiello, sono ormai datate e inadeguate alle esigenze moderne. Inoltre, il “freno al debito”, un vincolo costituzionale che limita la spesa pubblica, impedisce al governo federale di adottare politiche espansive per stimolare la ripresa, nonostante il basso livello di debito pubblico rispetto ad altri paesi. Una regola costituzionale simile la conosciamo bene anche in Svizzera. L’articolo 126 della Costituzione federale ha introdotto nel 2001 il principio del freno all’indebitamento che attraverso una formula matematica impone di fatto di abbattere il debito nei periodi di crescita economica.
Il “freno al debito” tedesco introdotto nel 2009 funziona più o meno allo stesso modo limitando il deficit allo 0,35% del PIL. Molti analisti ritengono questa regola di bilancio sia una delle ragioni che contribuiscono alla crisi attuale, anche se non è la causa principale. Tuttavia, in un contesto come quello odierno, questa rigidità sta creando problemi. Il futuro cancelliere, il cristiano democratico Friedrich Merz, pur potendo formare un governo con i socialdemocratici, difficilmente potrà sbloccare però gli investimenti miliardari per la difesa, la transizione energetica e il rinnovo infrastrutturale senza l’appoggio esterno di Verdi e degli improponibili – alla luce delle loro posizioni su difesa e rapporti con la Russia - AfD e Die Linke. Si parla di 200 miliardi di euro solo per la difesa.
In sintesi, la Germania paga il prezzo di un modello economico che, pur efficace in passato, fatica ad adattarsi a un mondo cambiato, segnato da instabilità geopolitica, transizioni tecnologiche e una competizione globale sempre più feroce. Per il 2025, le previsioni parlano di una crescita anemica (circa lo 0,4%), ma una vera ripresa dipenderà dalla capacità di affrontare questi nodi strutturali.