L'editoriale

I conti pubblici e il mondo migliore

Cifre rosse, prospettive cupe e volontà politica assente: sono i tre elementi che emergono nitidi dal Consuntivo 2024 del Cantone
Gianni Righinetti
10.04.2025 06:00

Cifre rosse, prospettive cupe e volontà politica assente. Sono i tre elementi che emergono nitidi dal Consuntivo 2024 del Cantone che chiude con un disavanzo d’esercizio di 71,8 milioni di franchi, con un miglioramento di 59 milioni rispetto al preventivo. Gli indicatori che spiccano dalla fotografia di fine anno delle finanze cantonali mostrano una situazione che richiama alla serietà e, di riflesso, al rigore. Il debito pubblico veleggia attorno ai 2,6 miliardi e il capitale proprio è ampiamente negativo (-215,9 milioni). A dare una boccata di ossigeno è, una volta ancora, la voce «entrate» con una botta verso l’alto dei ricavi fiscali, persone fisiche, giuridiche e imposte alla fonte, mentre le spese correnti rimangono il nodo che in Ticino non si riesce proprio ad affrontare: complessivamente 70 milioni in più rispetto a quanto preventivato. Alla faccia del mantra predicato da sinistra secondo il quale «gli sgravi svuotano le casse cantonali». Lo scorso anno ci sono stati Cantoni che hanno ribaltato il risultato: il Ticino non è tra questi. Passano gli anni, si succedono le legislature, ma la musica non cambia. L’orchestrina della politica suona imperterrita le note della solita musica, come sul Titanic mentre imbarcava acqua. Tutto questo rimane letteralmente irresponsabile. Ma d’altronde è il frutto della classe politica che, trasversalmente, abbiamo in Governo e in Parlamento. In fin dei conti sono molti coloro che, con incredibile leggerezza, inneggiano all’inconsistenza del debito pubblico, ritenuto comunque buono e giusto. A chi alza solo la mano per dire «forse, però», viene impartita una lezione di politica economica da parte di chi reputa di avere sempre e a prescindere la verità in tasca. Ma in un’economia cantonale che fatica, e di fronte a settori che si trovano ad affrontare vere e proprie crisi, immediatamente, il debito (tanto «buono e giusto» per lo Stato) diventa drammatico e stimolo d’intervento nell’economia privata. Tutto questo è semplicemente incoerenza allo stato puro. Se lo Stato è il primo a non essere virtuoso, come pretendere che lo siano il privato e i cittadini? Se lo Stato elargisce sempre e comunque e se la politica si dimostra incapace (perché fa difetto la volontà) d’intervenire, perché preoccuparsi? Perché continuare inutilmente a fare passare il messaggio del rigore che nessuno ascolta e neppure vuole sentire?

Credere che le cose andranno meglio sarà anche bello, ma è realistico almeno quanto il sogno di un mondo migliore. L’intelligenza artificiale sarà anche un utile mezzo d’analisi per tutto quanto accaduto, per carpirne pregi e difetti. Ma poi, senza l’intervento dell’intelletto umano, nulla accadrà. Nulla succede come d’incanto, l’attesa con le braccia conserte induce solo alla regressione. Chi si ferma è perduto e chi non coglie le occasioni poi non può recriminare, non si può lamentare. I conti pubblici mostrano squilibri insostenibili, ma manca il consenso per cambiare la rotta. D’altronde il Ticino è il Cantone del «giù le mani» un po’ da tutto, quello che s’interroga ancora sulla «revisione dei compiti dello Stato» (ormai una parolaccia, se non peggio). Siamo spesso maestri nel recriminare, nel fare la voce grossa con Berna, contro i tagli che sta cucinando la politica federale, ma non sappiamo riformare o rivedere la nostra macchina statale. A metà legislatura (se non prima) il partito di maggioranza relativa, anche per il tramite di un suo consigliere di Stato, mette l’accento sulle diatribe con i cugini in crescita. C’è già, c’è sempre, aria di campagna elettorale. Poi, per carità, lo sappiamo, la colpa sarà come sempre dei media che mettono l’accento. Mai, ovviamente, di chi presta il fianco e non si smarca dalla dilagante mediocrità. Una nuova legislatura pare essere indirizzata a risultati concreti pari allo «zero virgola». La fragilità regna sovrana. La Pasqua è vicina, ma una vera risurrezione che possa dare autentica speranza, all’orizzonte non si vede.