L'editoriale

Il dilemma delle tasse ai super facoltosi

Corteggiarli o tassarli? Le democrazie hanno un problema identitario con i contribuenti più ricchi che peraltro, come avviene nella campagna elettorale americana, finanziano a piene mani i candidati
Ferruccio de Bortoli
Ferruccio de Bortoli
18.09.2024 06:00

Corteggiarli o tassarli? Le democrazie hanno un problema identitario con i contribuenti più facoltosi che peraltro, come avviene nella campagna elettorale americana, finanziano a piene mani i candidati. Ma personaggi come Elon Musk oggi, o Mark Zuckerberg e Bill Gates in anni passati, sono anche profeti della modernità, innovatori geniali e sarebbe riduttivo, se non persino controproducente, considerarli solo alla stregua di un cespite, di un imponibile per quanto grande. Insomma, meglio non perderli e averli alleati. È forse questa una delle ragioni che hanno portato al fallimento della global minimum tax, decisa dopo anni di faticose negoziazioni in sede OCSE, l’organizzazione che riunisce i Paesi industrializzati (Svizzera compresa). Avrebbe dovuto colpire soprattutto le grandi multinazionali della Rete che pagano cifre irrisorie rispetto al fatturato. Non se n’è fatto niente per l’opposizione degli Stati Uniti. Sia dei democratici sia dei repubblicani.

Il paradosso europeo è la recente pronuncia della Corte di Giustizia che ha stabilito che Apple restituisca all’Irlanda 13 miliardi di euro, equivalenti ai vantaggi fiscali di cui ha goduto, ritenuti aiuti di Stato. Dublino farebbe volentieri a meno di quei fondi per non perdere la domiciliazione dei giganti del web che vuol dire occupazione e investimenti. La concorrenza fiscale nella stessa Unione europea è praticata con disinvoltura, dall’Olanda e dal Lussemburgo, con il disappunto degli altri membri. Ora è aperta la sfida per attirare i pensionati, sempre più numerosi, di un continente invecchiato. Il Portogallo è stato, oggi un po’ meno, la meta preferita degli italiani. La Grecia è tra le più convenienti porte d’ingresso all’area comunitaria. Poi c’è l’inseguimento ai super ricchi, alla caccia dei quali si è messa, grazie ad alcuni benefici fiscali introdotti dal governo Renzi nel 2017, anche l’Italia. O meglio Milano. Gran parte dei milionari che hanno aderito all’offerta di un’imposta forfettaria sui redditi esteri ha scelto come residenza il capoluogo lombardo. Secondo l’ultima relazione della Corte dei Conti, aggiornata al 2022, sono in totale 1.136 di cui 818 capifamiglia e 318 familiari. Per i primi bastava pagare 100 mila euro l’anno, elevati con un decreto dello scorso mese a 200 mila.

La misura sta avendo un discreto successo perché oltre a valere per quindici anni garantisce l’esenzione dalle imposte su donazioni e successioni. Ha attratto dopo la Brexit - e con l’esaurirsi del regime britannico sui residenti non domiciliati - diversi high net worth individuals. E tra questi numerosi calciatori, a partire dal più famoso: Cristiano Ronaldo. Qual è stata la reazione dell’opinione pubblica? Sulle prime del tutto favorevole. I milanesi erano orgogliosi che la propria città, diventata nel frattempo una meta turistica di grande successo (8,5 milioni di turisti l’anno), fosse scelta da miliardari di tutto il mondo. Poi sono esplosi i valori immobiliari (la metà degli acquirenti di case viene da fuori) portandosi dietro i canoni degli affitti. Una città troppo cara diventa inospitale per molti dei suoi abitanti che si sentono estranei e un po’ espulsi. Colpa di quella legge fiscale così favorevole? Non solo. Ma molti si chiedono se ne valesse davvero la pena. I super ricchi hanno acquistato delle belle case ma raramente hanno fatto investimenti di altro tipo, avviato attività produttive, creato occupazione. Solo una residenza fiscale, molto generosa.