Il mercato del lavoro non sempre dice tutto
Sull’arco di dodici mesi in Svizzera sono stati creati quasi 116 mila nuovi posti di lavoro. È il dato ufficiale calcolato dall’Ufficio federale di statistica e si riferisce all’anno scorso. La crescita ha interessato sia il settore industriale (+23 mila posti), sia quello dei servizi (+93 mila). L’occupazione continua a crescere a ritmi elevati: nel primo trimestre i posti di lavoro si sono attestati a 5,4 milioni, con un aumento (destagionalizzato) dello 0,6% rispetto ai tre mesi precedenti e del 2,2% su base annua. Espressi in equivalenti a tempo pieno, il volume degli impieghi ha raggiunto i 4,2 milioni. Si tratta di livelli occupazionali storicamente elevati confortati anche dai dati sulla disoccupazione – calcolati sia secondo i criteri dell’ILO, sia secondo quelli amministrativi della Seco – che sono in forte calo. Nonostante il buono stato di salute del mercato del lavoro e pur rimanendo in un sentiero di crescita più moderata, l’economia svizzera sta archiviando la forte spinta post-Covid. Le stime del PIL per quest’anno sono infatti più prudenti.
L’agenzia finanziaria AWP ha stimato per il primo trimestre di quest’anno una crescita (rispetto ai tre mesi precedenti) più debole: tra il +0,1% e il +0,3%. Su base annua la crescita economica – sempre secondo il sondaggio dell'AWP - è prevista tra lo 0,6% e lo 0,7%. Nel caso si confermassero, si tratta di dati ben al di sotto di quanto registrato negli ultimi due anni. Ma per avere un’idea più chiara dello stato di salute dell’economia bisognerà attendere martedì prossimo, quando la Seco, la Segreteria di Stato per l’economia renderà note le sue stime. Si tratta di un dato molto atteso dagli operatori e analisti soprattutto alla luce dell’entrata in recessione tecnica della Germania, economia alla quale quella svizzera è legata a doppio filo: da una parte perché la metà delle esportazioni elvetiche va in Europa che è a trazione economica tedesca, dall’altra perché la Germania assorbe da sola quasi il 20% dell’export svizzero. L’industria meccanica, elettrotecnica e metallurgica è particolarmente legata alle attività economiche in Germania, così come il settore automotive e quello della chimica.
Ma recessione tecnica non vuol dire recessione tout court. Questo è chiaro. Si tratta di una convenzione tra gli economisti che indica una diminuzione del Prodotto interno lordo (PIL) per due trimestri consecutivi. Come non è una sola rondine a fare primavera, non sono due segni meno davanti a un dato statistico a decretare una recessione vera e propria che è invece caratterizzata da un calo generalizzato di produzione industriale, consumi, redditi di famiglie e imprese con contemporaneo aumento della disoccupazione. È però indicativo di questo momento storico caratterizzato da un forte intervento della Banca centrale europea sui tassi d’interesse per moderare le aspettative inflazionistiche e comunque certifica le difficoltà economiche di un Paese che potrebbero essere acuite ulteriormente da un’ulteriore stretta monetaria. Ma queste sono ipotesi sul futuro.
Per rimanere al l’attualità, nel primo trimestre dell’anno, quello che va da gennaio a marzo, il PIL della Germania si è ridotto dello 0,3 per cento rispetto al trimestre precedente e dello 0,5 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. L’ufficio nazionale di statistica tedesco ha rivisto al ribasso le stime pubblicate a fine aprile, che vedevano un PIL sostanzialmente fermo. Anche nell’ultimo trimestre del 2022 il PIL si era ridotto, dello 0,5 per cento rispetto al trimestre precedente.
L’ultima volta che l’economia tedesca si è trovata in una situazione di recessione tecnica è stato nella prima metà del 2020 durante la pandemia. In quel frangente a far calare il PIL ci pensarono le restrizioni agli spostamenti per ragioni sanitarie e i vari lockdown. Una situazione straordinaria e temporanea che accomunò gran parte dei Paesi europei. Questa volta è però leggermente diverso. Tra le cause della riduzione del PIL, c’è il pessimismo delle famiglie che hanno incominciato a ridurre i propri consumi (-1,2% rispetto al trimestre precedente). Da un anno la Germania – come altre economie avanzate – sta facendo i conti con un importante aumento del livello dei prezzi innescato dalla guerra in Ucraina e dall’aumento delle materie prime. Un fatto che si ripercuote negativamente sul potere di acquisto e sui redditi delle famiglie. Un altro segnale del rallentamento dell’economia tedesca è arrivato anche dalla produzione industriale in forte calo a marzo: -3,4 per cento. Anche se non è una recessione da manuale di economia, incomincia a somigliarci molto.