L'editoriale

Il prima e il dopo al Tribunale penale

Dal caos all'ordine dopo troppi mesi trascorsi tra lotte intestine: si volta pagina
Gianni Righinetti
22.01.2025 06:00

Dal caos all’ordine, dai dissidi personali sfociati in comportamenti inaccettabili, alla serietà e al rispetto per il terzo potere dello Stato che merita di avere al vertice persone tecnicamente capaci (e su questo nessuno ha mai avuto dubbi), ma soprattutto uomini e donne in grado di farsi scivolare via vicissitudini e astio d’ordine professionale o privato. Anche quando l’azione messa in atto pare finalizzata ad un obbiettivo idealmente lodevole. Al Tribunale penale cantonale si volta pagina ed è un bene, non tanto pensando ai giudici destituiti con una durissima deliberazione da parte del Consiglio della magistratura, Siro Quadri e Francesca Verda Chiocchetti che restano nel limbo in attesa di conoscere l’esito del ricorso contro quella decisione, dopo aver subito la prima sanzione finalizzata a non concedere l’effetto sospensivo richiesto all’istanza di ricorso per essere «reintegrati» al TPC. Ma neppure pensando all’ex presidente del Tribunale Mauro Ermani che ha rassegnato le dimissioni liberandosi di una funzione diventata troppo pesante per lui, e generando con quell’addio la cancellazione del procedimento disciplinare a suo carico da parte del Consiglio della magistratura. Di fronte a questa situazione il nostro pensiero va alla Giustizia nel senso compiuto del termine e ancor di più dell’Istituzione che sottintende quel termine e quel rispetto che purtroppo per mesi non c’è stato, in un 2024 nel quale la Giustizia è stata calpestata per interessi di parte. A lungo ci hanno raccontato che il lavoro proseguiva, che non c’erano effetti collaterali, ma una volta emersa la cronologia dei fatti e degli atti è apparso chiaramente che l’interesse primo al TPC era un’indecorosa guerra tra giudici facendosi scudo di comodo dei collaboratori. Da queste colonne non abbiamo mai osato fare dietrologia, ci siamo sempre limitati a leggere e descrivere i fatti, rispettando le decisioni prese, valide almeno fino alla prova del contrario. Poi la storia farà il suo corso e le istanze di ricorso, in maniera indipendente, si esprimeranno su un incarto complesso, che ha preso le mosse dai bisticci tra due segretarie. È da qui che si sono generate fazioni di tifosi con cori da stadio all’interno del Tribunale penale. Si potrebbe anche scadere nella facile ironia con quanto abbiamo sentito o letto ma equivarrebbe ad allinearsi con quanto fatto da attori protagonisti e comparse di questa poco edificante vicenda.

Quello che conta oggi è la capacità di voltare pagina, di trovare uomini e donne per quelle importanti cariche, perché un giudice non è una persona qualunque, è deputato a decidere sulla vita di una persona finita nelle maglie della Giustizia, a decretarne l’assoluzione o la condanna, la libertà o la privazione della stessa con l’incarcerazione. Per svolgere questo compito, con lucidità di giudizio e senza farsi condizionare dai fattori esterni che pressano su ogni essere umano che vive in società, è necessaria una non comune capacità di indipendenza e lucidità. Al TPC è attesa una ventata d’aria nuova, d’aria fresca: cambiare in un sol colpo tre giudici su cinque (due dei quali seppur a titolo provvisorio nel ruolo di supplenti) è un impegno gravoso per chi arriverà e di maggiore responsabilità per chi fungerà da «veterano della carica». È anche una situazione gravida di incognite sui procedimenti già terminati con sentenza, ma in attesa della motivazione scritta come pure per quelli ancora da celebrare che avevano visto i tre giudici coinvolti chinati nel sempre impegnativo lavoro di preparazione. Solo il tempo ci dirà se il prezzo di questa rivoluzione si manifesterà anche sul numero degli incarti in giacenza in attesa del giudizio.

Tra tante incognite e difficoltà ci sono tuttavia alcune certezze. L’ultima seduta della Commissione giustizia e diritti ha mostrato una politica più unita e consapevole che il momento è importante e che è un bene non continuare a battagliare e giocare su questo tema. Se sarà una tregua permanente o solo passeggera lo vedremo prossimamente, quando si aprirà il concorso per il «dopo Ermani» (e la necessità di nominare un nuovo presidente), come pure una volta che si conoscerà l’esito del ricorso dei due destituiti dal CdM. Il 2024 è stato l’anno del caos, dei litigi a suon di segnalazioni, denunce, nell’incapacità del penta collegio giudicante di risolvere le vertenze interne e di intavolare una concreta mediazione. Un passo che, le carte lo dimostrano, è stato frenato e finanche boicottato. Il 2025 promette di essere l’anno del rilancio. Oggi più che mai va sottolineato che la Giustizia è un’istituzione fondamentale e che gli uomini e le donne che vi operano all’interno sono deputati a farla funzionare, ma che la Giustizia non è «cosa loro».