Il ruolo della Chiesa e l'abuso indelebile
L’ennesimo (e ad oggi presunto) caso di abusi sessuali contro minori in ambito ecclesiastico, venuto pubblicamente alla luce nella caldana di questo torrido mese di agosto, presenta elementi nuovi che meritano una doverosa e approfondita riflessione. Il principale elemento di novità è l’abbattimento del muro di omertà da parte della Chiesa, quella cortina fumogena che per decenni (e siamo generosi) ha nascosto le malefatte di persone orbitanti nel clero, talvolta con un ruolo di primo piano. Dopo il rapporto della vergogna per la Chiesa cattolica pubblicato dall’Università di Zurigo nel settembre del 2023, documento che metteva all’indice in particolare la Diocesi di Lugano, qualcosa è cambiato. O meglio. È stata presa coscienza che non si poteva più andare avanti perseguendo la logica dell’insabbiamento, facendo ingoiare a vittime e familiari enormi rospi all’insegna del «perdono», senza che soprusi e violenze nei confronti di giovani (ragazzi e ragazze) finissero al vaglio di chi sta laicamente sopra di noi. La legge e la Giustizia penale. La Chiesa, messa al muro, ha detto «mai più» e ha sollecitato chi sapeva a farsi avanti, a non temere di parlare. È quanto accaduto nel mese di febbraio quando un uomo si è manifestato dichiarando al cospetto dell’Amministratore apostolico, il vescovo Alain de Raemy, quanto aveva subito 4-5 anni prima, per il presunto agire di don Rolando Leo, persona conosciuta, rispettata, considerata e molto ben inserita nella Chiesa e in tante organizzazioni collaterali, frequentate da giovani e giovanissimi. Il classico «insospettabile». Un déjà vu. Ma ci sono diverse perplessità che, a cascata, derivano da questo nuovo (e benvenuto) cambiamento di rotta. Il vertice ha informato la Commissione di esperti in caso di abusi sessuali in ambito ecclesiale ed è iniziato il processo di approfondimento e convincimento (verosimilmente) a sporgere denuncia. Passano diverse settimane prima che il tutto giunga nelle mani del Ministero pubblico quando l’uomo, ormai, adulto decide di sporgere denuncia. Rispettiamo il travaglio interiore di chi ha compiuto il passo, meno il fatto che per mesi il sacerdote abbia potuto condurre, ignaro e libero, la sua vita nella normalità. Tanto più che negli ultimi mesi e settimane ha avuto la possibilità di partecipare a gite e momenti con giovani, anche pernottando lontano dal Ticino, in un contesto non certo ideale e potenzialmente a forte rischio, per le vittime e per il carnefice. Sia chiaro, la presunzione di innocenza non è in discussione, ma crediamo che occorra un richiamo forte e chiaro al principio della prudenza, in primis per potenziali vittime inconsapevoli. Quando c’è una notizia di reato non si può tergiversare, occorre che gli inquirenti vengano informati e che possano verificare prendendo tutte le misure del caso. Nel peggiore degli scenari, in questo caso ma anche in altri che potrebbero verificarsi in futuro, la scelta benevola di non agire, potrebbe finire con un reato reiterato. Questo non è un rischio calcolato, ma un rischio sciagurato. Non stiamo parlando di soldi o truffe (tutto più o meno riparabile per una vittima), ma di integrità e intimità della persona. Una volta violate, nessuno potrà riavvolgere il nastro della vita e ripartire come se nulla fosse accaduto. È qualcosa di indelebile e che segna per l’eternità.
A stupire, oltre alla tempistica, c’è anche il fatto che a dare comunicazione del fermo del sacerdote, non sia stato il Ministero pubblico, bensì la Diocesi di Lugano. Mentre da via Pretorio ci si è limitati a confermare quello scritto che, si badi bene, concerne ipotesi di reato molto pesanti nei confronti del prelato: atti sessuali con fanciulli, coazione sessuale, atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere e pornografia. Insomma, a comunicare non è chi conduce l’inchiesta ma una parte che non si può considerare a prescindere super partes. Con questa logica il Ministero pubblico fungerà dunque da foglia di fico per chi vorrà mostrarsi collaborativo, comunicando inchieste d’ogni genere? Ben venga la trasparenza della Chiesa, ma gli inquirenti non devono fare neppure un passetto indietro in quelle che sono e devono restare le loro prerogative e responsabilità. Anche dal profilo della comunicazione. E terminiamo con un altro elemento nuovo: in passato nessuno parlava, tutti si trinceravano dietro un «no comment». Il paradigma è stato ribaltato, a partire dalle dichiarazioni rilasciate dalla direzione del Papio di Ascona che, sotto shock, ha reagito come si deve. Parlando, anche per rassicurare le famiglie e difendere la propria integrità e onorabilità. Fino alla prova del contrario il Papio è dunque da considerare come parte lesa.