Il sentiero stretto della pace in Ucraina

Chissà mai se avremo un giorno un resoconto preciso delle due ore e mezzo di colloquio telefonico fra Donald Trump e Vladimir Putin. Sarebbe curioso sapere se vi sono state tra loro delle battute, se sono state usate quelle frasi di circostanza che si dicono per sciogliere il ghiaccio (e tra i due Paesi è un gigantesco iceberg). Parole apparentemente banali ma utili per capire meglio quale sia la vera natura dei rapporti tra i due leader. Il mondo si sta di nuovo dividendo in aree di influenza ma chi, tra il presidente degli Stati Uniti e il suo omologo russo, ha più influenza personale sull’altro? Chi, per usare l’espressione che Trump ha rinfacciato a Volodymyr Zelensky, ha più carte da giocare? Sono i misteri di questa fase inquieta della Storia nella quale scopriamo tutti di essere appesi all’umore e alla volubilità di due personaggi così diversi. Ma quanto diversi? In questa complessa relazione tra un leader democratico, con tendenza autoritaria, e un autocrate vero che gli oppositori li liquida (se lo sono dimenticati i suoi tanti fan europei?) è il secondo ad avere, per il momento, alcuni vantaggi negoziali. La guerra volge a favore di Putin, ma forse sarebbe avvenuto lo stesso anche con Biden. La Russia guadagna tutto il terreno possibile prima dell’apertura dei negoziati veri e propri. Il suo nemico non è più così amico del principale fornitore delle armi con cui si difende. Anche se Zelensky, nella telefonata di ieri con Trump durata un’ora, sembra essersi ulteriormente adattato al nuovo clima.
E in questo caso, non è necessario avere un dettagliato resoconto del colloquio. I rapporti sono chiari. È tale il timore ucraino di essere abbandonati che le condizioni le detta sicuramente Trump. L’altro le accetta. Il tempo sembra giocare per Putin. Trump ha promesso che avrebbe chiuso presto il conflitto per occuparsi d’altro. Lui no, non ha alcuna promessa elettorale da mantenere. La pace è vicina, ha annunciato ieri Washington. Non sappiamo che tipo di pace si potrà delineare Ma dobbiamo tutti riconoscere che senza il tycoon al potere un negoziato non sarebbe stato nemmeno immaginabile. La mezza tregua è il primo, concreto risultato cui la Casa Bianca teneva. Una parziale sosta degli attacchi alle infrastrutture energetiche. Lo scambio dei prigionieri (175 per parte, più il rilascio di 22 soldati ucraini gravemente feriti) c’è già stato. Incoraggiante. Ma Trump non può accettare ora quel blocco agli aiuti militari a Kyiv che Mosca prentende. Lo aveva minacciato contro Zelensky per “punire” la sua ingratitudine. Ora apparirebbe una totale concessione all’avversario. Se il presidente ucraino ne vuole di più di armi se le faccia dare dagli europei. L’America, inoltre, non può ritirare l’assistenza dell’intelligence - che pure aveva per un attimo tolto - senza la quale, come si è visto, le difese ucraine appaiono destinate a durare solo qualche settimana. Putin ha ottenuto qualcosa in più che forse non apparirà in nessun testo negoziale: il riconoscimento di Mosca in un ruolo di super potenza che nel passato gli occidentali hanno finito per negare. A totale dispetto degli europei, che nonostante la coalizione dei volenterosi organizzata dal leader britannico Keir Starmer e gli annunci sul riarmo di Ursula von der Leyen, appaiono in disparte. Un risultato che non dispiace né a Putin né a Trump.
L’Europa è il vaso di coccio di questa trattativa, anche se un ruolo necessariamente dovrà averlo. Le priorità americane sono altre: la Cina soprattutto, tenuta il più possibile distante dalla Russia.