L'editoriale

Il Tribunale e le parole pronunciate a vanvera

Rimane il gusto amaro della delusione, della sconfitta per le istituzioni e l’invito ad abbassare i toni, nella speranza che non restino parole nel vuoto
Gianni Righinetti
17.12.2024 06:00

Al Tribunale penale cantonale (TPC) gli spifferi si sono trasformati in vere e proprie correnti d’aria. Appare ormai da mesi evidente l’incapacità del vertice di sanare i litigi tra due segretarie, finanche la dipendenza da veri e propri capricci quando non da comportamenti fanciulleschi di quelle che sono e rimangono figure subalterne all’organizzazione e per l’operatività di un Tribunale. Mentre si attende la presa di posizione del Consiglio della magistratura (CdM) dopo aver attentamente valutato e ponderato l’azione/inazione del presidente Mauro Ermani, ci troviamo nel pieno di una tempesta delle parole. Esternazioni e valutazioni pronunciate dopo che lo stesso CdM ha deciso di destituire con effetto immediato i giudici Francesca Verda Chiocchetti e Siro Quadri. A seguito della comunicazione shock della settimana scorsa, si è scatenato il festival delle parole pronunciate a vanvera. Avvocati che l’hanno buttata in caciara politica, ma soprattutto avvocati o ex magistrati che hanno preventivamente insinuato il dubbio sull’intero collegio del CdM che, all’unanimità, ha sottoscritto le due decisioni.

In questi mesi di confusione totale e di grave discredito per il terzo potere dello Stato, quello per il quale la credibilità dell’istituzione da parte del cittadino è tutto, si è detto che a generare gazzarra era stata la politica. Nella vicenda la Commissione giustizia e diritti ha certamente avuto un ruolo galvanizzante, mettendo l’accento su immagini sinceramente imbarazzanti, situazioni potenzialmente pruriginose che hanno dato vita ad equivoci pesanti. Ci sono stati più incendiari che pompieri, più ricorrenti che mediatori, è stata maggiore la volontà di abbattere che quella di puntellare, di cercare di fare davvero l’interesse della Giustizia e non di guardare solo al proprio orticello. Un’occasione persa per tacere e parlare sulla base delle carte.

Quelle carte che in una quarantina di pagine a testa, descrivono il procedimento a carico di Quadri e di Verda Chiocchetti, per ampi stralci si tratta di una vera a propria analisi di coppia per i giudici, incredibilmente legati in ogni passo di questa vicenda. Cosa che il CdM rimarca in più occasioni, formulando poi delle conclusioni molto nette e che, dal punto di vista dei sette firmatari che compongono l’organo di vigilanza (togati e laici) hanno sottoscritto.

La decisione in oggetto verrà ovviamente impugnata e non è quindi scolpita nella roccia. La Giustizia farà il suo corso, ma ad oggi quello che conta è il documento sul tavolo, quello che è stato appurato, quello che c’è scritto: e non sono parole a vanvera. Se in questo Cantone si vuole essere seri, è bene abbassare i toni, leggere e documentarsi prima di esprimersi. Considerare i due documenti del CdM come qualcosa che si basa su accertamenti e fatti. Emerge una sorta di sistema a tenaglia, da una parte senz’altro nell’intento benevolo di proteggere quell’anello debole che rispondeva alla funzione di segretaria, ma anche esacerbando situazioni con gli altri tre giudici e una sorta di accanimento giudiziario (con la famosa denuncia per pornografia) nei confronti del presidente Ermani. Una vicenda ormai insanabile al punto da indurre il CdM ad affermare: «Il danno più importante è stato quello interno al Tribunale penale cantonale, che si è diviso in due fazioni a tutti i livelli».

Ma non possiamo fare finta di nulla, per onestà intellettuale va detto anche quanto di potenzialmente scomodo il CdM afferma nei confronti di noi media (in senso lato nella fattispecie): le notizie apparse, talvolta con dovizia di dettagli che solo le parti sapevano, viaggiavano in maniera unilaterale, fatta salva qualche eccezione, come la multa a Quadri pubblicata dalla nostra testata. Mentre si è dovuto attendere di leggere la decisione per scorgere a pagina 38 la segnalazione di Quadri da parte del procuratore generale Andrea Pagani e di una procuratrice «per aver illecitamente mantenuto in carcere per circa due giorni un detenuto». Non rimane che prenderne atto, magari anche il dovuto insegnamento per tutti quanti da una ferita ancora aperta per molti protagonisti, dai due giudici in questione che stanno pagando a caro prezzo il loro agire, al presidente del TPC sul quale il giudizio morale è già scritto, mentre quello fattuale spetterà al CdM.

Rimane il gusto amaro della delusione, della sconfitta per le istituzioni e l’invito ad abbassare i toni, nella speranza che non restino parole nel vuoto. E, infine, che prenda corpo quello che mesi fa avevamo scritto e auspicato in vista di una sconfitta annunciata per tutti: «È ora di rendersi conto che la Giustizia è un’istituzione e che gli uomini e le donne che operano all’interno sono deputati a farla funzionare, ma che la Giustizia non è “cosa loro”. Fortunatamente sopravviverà anche quando le persone che l’hanno infangata avranno lasciato: per scelta, per raggiunti limiti d’età o perché allontanate da chi ha la facoltà di prendere queste decisioni». 

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