Il valore di una scienza che dà senso al mondo
Troppo facile sottovalutarla, metterla nel ripostiglio delle conoscenze démodé, tacciarla di disciplina tutta inutili nozionismi e pedantissime tiritere mnemoniche da ingurgitare con adolescente riluttanza. Nell’epoca dello sciocchezzaio imperante, la geografia già dai grecismi del nome (etimologicamente trattasi di geo-graphein, da γῆ «terra» e γραφία, «descrizione, scrittura») paga lo scotto di un sapere troppo antico e analitico per essere degnamente considerata in una società che di possedere la capacità di cogliere la complessità dei fenomeni che ci circondano se ne infischia con ostentazione. Ah, se solo il povero Eratostene, che per primo utilizzò quel vocabolo nel III secolo avanti Cristo, illuminato dagli dèi l’avesse chiamata diversamente (pensate a come oggi suonerebbe più sexy qualcosa come «intelligenza spaziale» o anche soltanto un modaiolo «public geography», con cui riempirsi la bocca e supplire alle carenze in idiomi anglosassoni futuristici dell’imprevidente e grecissimo direttore della biblioteca di Alessandria) adesso forse avremmo qualche certezza in più. E nessun dubbio sul fatto, come abbiamo scritto altre volte, che la geografia è cultura e che una mappa può raccontarci o indurci a scoprire il nostro mondo e la nostra quotidianità, dall’indirizzo di un ristorante alle conseguenze di una pandemia, dalla capanna alpina che vogliamo finalmente raggiungere alle ragioni per cui in questo territorio si parla italiano ma si è cittadini svizzeri e potremmo naturalmente continuare a lungo anche in un’epoca omologante che pretende di annullare distanze e specificità. Anche perché se è fondamentale per una collettività che voglia costruire un futuro di pace, democrazia e progresso, considerare la Storia come orizzonte civile comune va da sé che la conoscenza geografica di questo impegno non è soltanto il collante e la premessa ma pure lo strumento per orientarsi nel merito delle grandi emergenze del nostro domani, sviluppando ad esempio le questioni che hanno a che fare con le dinamiche migratorie, con i cambiamenti climatici, con l’educazione civica, con il sovraffollamento turistico e compagnia bella.
Ogni tanto, insomma, con la discrezione e la modestia che la contraddistingue, (la geografia e i geografi, fateci caso, non urlano, non strepitano e non protestano ma, da veri scienziati, osservano, conoscono e descrivono) una solida e documentata presa di posizione a favore della disciplina non soltanto è necessaria ma merita l’attenzione e il plauso di tutti coloro che difendono la conoscenza, i giovani e la società tutta. Con ancora maggior vigore nel nostro caso, se la voce che si leva in difesa della cultura del territorio è quella di un insigne studioso ticinese come Claudio Ferrata, docente e ricercatore di lunga esperienza che la geografia l’ha praticata sotto varie forme e che da pochi mesi ha dato alle stampe, per i tipi di Mimesis, un intelligente e appassionato saggio dal titolo Scrivere la Terra. La geografia, sapere sullo spazio e azione sul mondo. Un libro che, con entusiasmo contagioso, non soltanto introduce a una scienza che ha un profondo e glorioso passato e che è al centro di numerosi e urgenti dibattiti ma che ne definisce il ruolo e le funzioni in ottica contemporanea, quale portatrice di un sapere riflessivo, capace di porre domande, che non dà tutto per scontato. Un nuovo «contratto geografico», come lo definisce in conclusione Ferrata, dove i giovani, a cui il libro è principalmente rivolto possono trovare «stimoli per pensare e costruire un mondo umano e solidale, una economia capace di prestare attenzione agli equilibri ambientali, un mondo attento alla relazione con gli ecosistemi di cui siamo parte, capace di considerare i valori territoriali, la relazione con l’Altro, di immaginare territorialità che non siano oppressive ma che favoriscano la completa autonomia e che quindi permettano di esercitare scelte libere e sostenibili nella quotidianità». Perché in fondo oggi, pensando le relazioni e la complessità, la geografia rimanda al progetto di società che desideriamo realizzare e questo, anche se troppo spesso fatichiamo a rendercene conto, ha molto a che vedere con il concetto di democrazia e di convivenza civile.