La brusca frenata non cancella i problemi
Mentre la riforma EFAS s’inserisce nel complesso e infinito processo nell’ambito della politica sanitaria e il tema della locazione è apparso piuttosto marginale nella campagna in vista del voto di ieri, ben altro va detto invece sul pesante no al potenziamento delle strade nazionali. Dei tre voti tematici, quello in oggetto è il segnale politico più chiaro e gravido di conseguenze. O meglio, che richiederà concrete soluzioni politiche, rese oggi più ardue da un voto che andava ben oltre i cinque progetti sul tavolo.
Il referendum sì o no alla strada, ha detto che la popolazione non vuole nuove arterie di asfalto, non desidera neppure bretelle e men che meno tunnel. Vien da dire che l’ideologia ha avuto la meglio sulla concretezza. Il tema era insidioso, specie nei tempi moderni con una realtà dei fatti che ci porta a rincorrere soluzioni viarie frenate dal complesso iter politico e democratico che vige nel nostro Paese. Non è un lamento, il nostro sistema democratico ce lo teniamo stretto, ma vanno riconosciuti i limiti intrinsechi che ci vedono sempre agire in ritardo. E se oggi le arterie stradali sono congestionate è dovuto a più motivi, spesso cumulati nei loro effetti destabilizzanti. La gran parte delle strade è ferma alla dimensione di 30-50 anni fa, da una parte perché esistono evidenti limiti fisiologici dettati dalla conformazione del territorio con la pianificazione che ha privilegiato l’aspetto edificatorio rispetto a quello della mobilità. Inoltre, gran parte della rete risale a una Svizzera da 6 milioni di abitanti, mentre oggi abbiamo superato quota 9 milioni. Dati oggettivi che, volenti o nolenti, andranno considerati nella ricerca di nuove soluzioni ed eventuali compromessi.
Il voto è importante e va rispettato, ma ad essere maggiormente significativi saranno i passi che si muoveranno da oggi stesso lungo una strada più insidiosa di ieri. Va preso atto con grande lucidità che ad opporsi sono stati anche alcuni dei cantoni interessati dalle opere in oggetto, cittadini che, sulla carta, avrebbero dovuto essere sensibili alla soluzione che prometteva di evitare il riversamento di automobilisti dalle arterie principali a quelle locali, fino all’interno dei quartieri per aggirare ogni genere di tappo viario. A dire no è stato anche il Ticino che attende ormai come un miraggio una soluzione per un collegamento veloce con il Locarnese e che appare di conseguenza refrattario a nuovi progetti. E il voto darà nuovo vigore ai contrari al progetto PoLuMe che ha già fatto reagire la popolazione lungo l’asse autostradale a sud di Lugano.
Di fronte a tanta incertezza per risolvere i problemi pratici di oggi che non potranno che peggiorare domani, spicca il dato politico del ritorno alla vittoria del fronte rossoverde, supportato trasversalmente da una grande porzione di cittadini elettori appartenenti ad altri schieramenti, ma contrari a dotare il nostro Paese di nuove arterie viarie. Per i Verdi in particolare appare come una potenziale rinascita dopo l’estemporaneo exploit elettorale del 2019 sull’onda lunga del disastro di Fukushima che aveva fatto avanzare gli ecologisti nel Parlamento federale, ma l’effetto era poi scemato nel 2023. Chi vince ha tutto il diritto di festeggiare, ma non potrà sedersi sugli allori a vantarsi, dovrà portare anche soluzioni sul tavolo. La strada è sempre più in salita e il mezzo pubblico, che va difeso indipendentemente dall’esito delle urne, non è (e mai sarà) la soluzione ad ogni problema di mobilità per il nostro Paese. Sarebbe bello credere che il no popolare si porti via tutto il traffico e i problemi. Purtroppo, non è così.