La città di Lugano abbandona gli alloggi popolari

Nello “Studio sull’alloggio a Lugano”, presentato nel 2013, si affermava che «ad oggi la situazione a Lugano non è allarmante, ma diversi indicatori mostrano che già a medio termine vi potrebbe essere una mancanza di alloggi a pigione sostenibile; (..) determinante per garantire un’offerta sufficiente di alloggi a pigione sostenibile è il mantenimento - con rinnovo - degli alloggi esistenti attualmente caratterizzati da prezzi accessibili». E si aggiungeva: “: «per avere un mercato dell’alloggio sano è necessario disporre di un’offerta di alloggi di utilità pubblica costante nel tempo. Si ritiene che questo debba corrispondere a circa un quarto dell’offerta complessiva di alloggi in affitto”.
Oggi la città di Lugano è proprietaria di 17 immobili abitativi con 334 appartamenti su 10.392 edifici a uso abitativo registrati nel 2020: è evidente che siamo ben lontani da quel “quarto dell’offerta” preconizzato una decina di anni fa. Inoltre il libero mercato non sembra riuscire a rispondere alla domanda poiché, come affermava il Municipio di Lugano a proposito delle Case popolari Tami in Via Trevano: «in considerazione della tipologia particolare di questi immobili, ovvero a carattere sociale con pigioni molto basse, (...) vi è (...) da rilevare che non vi sono mai appartamenti sfitti poiché la richiesta di questo oggetti è molto alta”.
È in questo contesto che si inserisce il recente annuncio della vendita delle case popolari del Rione Madonnetta da parte della Cassa Pensione della città di Lugano (CPdL). Una politica in atto da tempo: 2017 erano stati venduti gli stabili del “Quartiere Ronchetto”, la Casa Resega, nel 2018 gli stabili di Via Industria 10-26 a Pregassona: tutti alloggi popolari. Dal 2017, sono la CPdL ha vendutoi 381 dei circa 770 appartamenti di sua proprietà! Le entrate per pigioni dirette sono scese dai 12,6 milioni del 2016 ai 7,1 milioni di fine 2020.
Una delle critiche mosse contro il Polo Sportivo e delle Eventi (PSE) metteva in relazione l’ingente investimento che la città assumerà nei prossimi anni – l’intera operazione avrà un costo complessivo di 450 milioni di franchi - e l’urgenza sociale di avviare un’importante e reale politica sociale in materia di alloggi accessibili ai redditi medio bassi. Il timore è che la prima operazione (e le altre già annunciate) toglierà risorse fondamentali alla seconda, rendendo di fatto impossibile la sua realizzazione. La vendita del Rione Madonnetta è un segnale in questo senso. Prima di tutto va detto che a Lugano, per quanto riguarda il patrimonio immobiliare pubblico, dal 1° gennaio 2021 non esistono più appartamenti sussidiati. Il secondo aspetto, ancora più decisivo, è che il Comune e la Cassa Pensione di Lugano (CPdL) stanno realizzando un vasto processo di svendita di immobili pubblici che dovrebbe costituire la dorsale di una politica sociale in materia di alloggi.
In conclusione, appare evidente che a Lugano non esista alcuna politica degli alloggi. Anzi, si sta operando in senso contrario. La CPdL ha abbattuto brutalmente il suo patrimonio immobiliare fatto di appartamenti popolari, privilegiando le partecipazioni in fondi d’investimento che agiscono ad ampio raggio, ridimensionando fortemente un legame con il territorio che era anche il riflesso di una certa funzione sociale, che vedeva la cassa pensione investire i propri capitali in immobili a pigione moderata. Si univa così l’obiettivo della redditività a quella di una certa utilità sociale. Il Comune ormai si sta dissanguando in operazioni immobiliari costose, tese a soddisfare prioritariamente gli interessi privati, che toglieranno qualsiasi base materiale per avviare anche solo un simulacro di politica sociale degli alloggi. Senza parlare dell’ancora più scarsa volontà politica di agire in questa direzione. In mezzo, gli abitanti dei palazzi del Rione Madonnetta che dovranno prepararsi a un’altra battaglia: evitare che il “libero mercato” delle pigioni dissangui ulteriormente i loro redditi. E con loro il 18,6% dei nuclei familiari luganesi che senza le prestazioni sociali non raggiungeva, nel 2016, il minimo vitale...