L'editoriale

La commedia dei radar e i fratelli coltelli

Un tema trito, ritrito e sfuggente che vede Lega e UDC fare a spallate all'insegna del "celodurismo" di bossiana memoria
Gianni Righinetti
13.02.2025 06:00

A scanso di equivoci lo diciamo senza troppi giri di parole: i radar non ci piacciono, ma ancor meno troviamo gradevole l’uso esagerato che ne viene fatto in Ticino ormai da vent’anni sulle nostre strade e autostrade. Dapprima sotto la conduzione politica a marca PPD della Polizia con Luigi Pedrazzini, poi, dal 2011, nelle mani del leghista Norman Gobbi, partito che della «guerra ai radar» ha fatto uno storico cavallo di battaglia, ma senza mai passare dalle parole ai fatti, arrivando finanche a mettere una taglia sugli apparecchi fissi. I radar e la Lega richiamano alla memoria il fine gattopardesco secondo cui tutto deve cambiare perché tutto resti come prima. Intanto gli anni passano e la polemica sui controlli rimane, i mezzi utilizzati sono diventati più moderni, più performanti e permettono all’autorità di agire d’astuzia con pistola laser e autocivetta, ma a rimanere vecchio stile è la polemica politica, talvolta creata ad arte, nell’intento di generare approvazione nella popolazione a basso prezzo in quanto a credibilità politica. Sparare sui radar è tanto semplice quanto sterile. Si scalpita, si grida allo scandalo, seppur nella consapevolezza che non ci sarà alcun seguito pratico. I radar sono nemici dell’automobilista, ma godono di una protezione altolocata tra i ranghi di chi, a livello cantonale o comunale, è chiamato a gestire la Polizia e, di riflesso, i cordoni della borsa, delle finanze pubbliche. L’incasso è immediato e garantito e la motivazione a sostegno, sbandierata all’insegna della «prevenzione» o della «sicurezza», risulta facilmente spendibile da parte di chi si prodiga nel veicolare intenti virtuosi. È la classica operazione «win-win». A perderci è il borsellino dell’automobilista che non si può più permettere la minima distrazione magari già di buon mattino quando parte da casa per andare al lavoro e, già prima del sorgere del sole, nella zona 30 km/h si trova immortalato (mentre i bambini che s’intende giustamente proteggere ancora dormono) o quando diventa «vittima» di uno dei famigerati radar semi-stazionari, quei cassoni grigi che paiono una sorta di cassaforte a prova di scasso, nascosti dietro a una curva o nella nicchia di una galleria. Il tutto, senza dimenticare che in Ticino ogni venerdì sera, puntuale come l’aperitivo con gli amici prima di affrontare il week-end, alle 17 arriva la mail della Polizia con le località interessate da controlli della velocità la settimana successiva. Un’operazione ridondante e sfuggente, dal sapore della farsa. E veniamo ai dati, quelli oggettivi, che non mentono: gli incassi negli anni sono cresciuti e gli incidenti diminuiti. Due variabili legate ai radar? Per quanto concerne la «cassetta» la risposta è affermativa, per quanto riguarda gli incidenti può esserci una relazione. Ma non una scientifica «causa-effetto». Tranne qualche pirata, c’è la consapevolezza che la prudenza paga, ma a contribuire a «meno incidenti» sono anche le automobili moderne con telecamere, sensori e automazioni di sicurezza. Eppure, la favola dei radar sembra non passare mai di moda.

Recentemente a ridare vigore alla commedia è stata una sorta di barzelletta politica. In primis l’uscita del neo coordinatore della Lega che ha citato i radar nel suo programma politico (triplo Uella! avrebbe sentenziato il domenicale leghista se fossero stati altri ad uscire allo scoperto). Ma le frasi di Daniele Piccaluga devono avere risvegliato qualche cugino dell’UDC che, primo firmatario Alain Bühler, ha solleticato il Governo e Gobbi (il più democentrista dei leghisti) con un atto parlamentare dal trito e ritrito cavallo di battaglia: «Sì alla prevenzione, no a fare cassetta». Sarà un fortuito caso? Una sovrapposizione indipendente dall’esplicita volontà dei protagonisti dell’UDC? Permetteteci di dubitare, senza per forza dare troppa importanza alla cosa, trattandola un po’ alla stregua della «politica cabaret» che talvolta prende il volo anche sulla spinta di quella che, con la nuova guida leghista, pare di poter dire essere una rinnovata rivalità all’interno dell’area di destra. Per il nuovo condottiero della Lega, dopo gli «Achtung!» del Mattino, ecco il tentativo di spallata democentrista. Tutto lecito, tutto legittimo, la politica non è luogo per verginelle, ma questo marcato «celodurismo» per tentare di segnare il territorio per allargare quello di propria competenza, ci mostra in maniera inequivocabile che le due forze politiche non intendono farsi mettere reciprocamente i piedi in faccia. I radar sono ormai un vecchio cavallo di battaglia che non deve illudere i cittadini. La volontà politica di cambiare le cose non l’ha davvero nessuno, Lega e UDC comprese. Nel caso specifico è solo la manifestazione concreta del detto «fratelli, coltelli».