L'editoriale

La curiosità perduta e l'apatia condivisa

Nell’era della distrazione di massa non siamo ormai più curiosi di nulla
Tutto passa ormai inosservato? Sappiamo ancora interrogarci?
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
13.01.2025 06:00

Non era nemmeno un vero scrittore, un professionista del racconto, uno che si guadagnava da vivere, come Salgari ad esempio, in base alla quantità di righe e alle cartelle che riusciva a produrre. Eppure John W. Campbell Jr. (1910-1971) che era laureato in Fisica ma di mestiere faceva il curatore editoriale, dirigendo per più di trent’anni la leggendaria rivista «Astounding Science Fiction», autentico monumento della letteratura fantascientifica del Novecento oltre a scoprire autori-monumento del calibro di Asimov, Heinlein, Van Vogt, Leiber o Sturgeon, ci ha lasciato alcuni capolavori indiscussi che alla prova del tempo vanno persino oltre il valore letterario specifico, per la maturità stilistica o l’accuratezza scientifica, che viene loro unanimemente riconosciuto dagli appassionati. Solo alcuni cultori del genere si ricorderanno però di Twilight (Crepuscolo) un racconto del 1934 noto ai lettori italofoni anche con il titolo di Sette milioni di anni, come lo si ritrova tradotto in numerose antologie dedicate al meglio dell’epoca d’oro della fantascienza d’autore. Un classico che merita di essere (ri)scoperto al di là degli aspetti narrativi legati alla science fiction anche perché contiene una sorta di monito perfettamente calzante alla nostra confusa e fluida realtà contemporanea.

Grazie all’escamotage della sconcertante testimonianza di un viaggiatore nel tempo proveniente da un futuro lontanissimo rinvenuto per caso sul ciglio della strada nello sterminato West americano, Campbell descrive l’inarrestabile crepuscolo della civiltà umana: pacificata e asettica, la nostra specie si espande con facilità nel sistema solare sulla scia di uno straordinario sviluppo tecnologico ma nel frattempo cade preda di una progressiva e letale apatia a causa delle macchine tuttofare di cui si è circondata, finendone asservita non solo sul piano pratico quanto soprattutto sul piano intellettuale. Abituati a delegare, a macchine perfette capaci di autoripararsi e mai soggette ad errori, persino lo sforzo di pensare, gli esseri umani perdono proprio la caratteristica che da sempre li aveva resi tali: la curiosità. Smettendo di porsi domande sul reale e anestetizzando l’istinto che li rendeva desiderosi di conoscere, gli uomini e le donne del futuro si atrofizzano e perdono il senso, il significato e il motore della propria umanità. Nemmeno un disperato ritorno sulla Terra, ormai priva di ogni forma di vita animale e vegetale, e l’invenzione di una inutile e paradossale «macchina capace di curiosità», servirà a salvare gli ultimi superstiti di una specie che sprofondata nell’abulia si spegnerà lentamente lasciandosi alle spalle soltanto i suoi servitori meccanici. Un finale tragico e spietato certo, che però ci ricorda con la potenza profetica della letteratura quanto la curiosità sia davvero come diceva Goethe «l’anima dell’intelligenza» e come per la prima volta in questo principio di XXI secolo la civiltà umana si trovi a fare i conti con un fenomeno inedito e dalle conseguenze potenzialmente letali. Proprio quando la conoscenza universale sembrava facilmente (forse «troppo» facilmente...) a portata di mano l’abulia della superficialità ha cominciato a prendere il sopravvento e della curiosità di conoscere, imbesuiti dalla vuota rivoluzione digitale abbiamo cominciato a credere di poter rinunciare. Nell’era della distrazione di massa non siamo ormai più curiosi di nulla. A domanda non rispondiamo più e la condivisione dell’abulia genera soltanto una patina di indifferente ignoranza. Una società che smarrisce la curiosità perde ogni possibilità di conoscenza, di progresso e di sviluppo civile e democratico. E le conseguenze non tardano a manifestarsi. Alla fine del racconto di Campbell gli ultimi umani, circondati da macchine perfette che pensano al posto loro, si accorgono con sgomento che «il cielo era vuoto».