L'editoriale

La finanza non è sempre lo specchio della realtà

I listini sembrano digerire tutto, dalle guerre alle crisi politiche, eppure in questo periodo stanno toccando nuovi massimi senza ragione apparente
Generoso Chiaradonna
13.07.2024 06:00

“Euforia irrazionale” è il titolo di uno dei libri più noti dell’economista statunitense Robert J. Schiller, premio Nobel nel 2013 e maggiormente citati negli ultimi due decenni da analisti e osservatori del mondo della finanza. L’edizione italiana fu pubblicata da Il Mulino nel 2009 e il titolo proseguiva con “Alti e bassi di borsa”. In realtà la frase Schiller la prese a prestito dall’iconico presidente della Federal Reserve Alan Greenspan che la pronunciò il 5 dicembre del 1996 e causò una forte correzione dei listini di tutto il mondo. Nulla in confronto a quanto accadde nei primi anni del 2000 con lo scoppio della bolla della New Economy. 

La prima edizione del testo di Schiller apparve negli Stati Uniti nel 2000, nel momento di massimo apice dei mercati azionari di tutto il mondo, quando sembrava esserci nell’aria una stravagante aspettativa su una crescita costante del mercato finanziario spinto dall’avvento di Internet e dalle mirabolanti promesse di sviluppo economico delle imprese che in qualche modo erano legate alla nascente rete. Bastava che una qualsiasi startup avesse nel nome il suffisso .com e che si affacciasse al Nasdaq, il mercato finanziario americano dedicato alle società tecnologiche, per fare sì che la domanda delle azioni aumentasse a dismisura spingendo a livelli stratosferici il prezzo dei titoli. A un certo momento lo scopo principale dei promotori non era la ricerca di capitali a rischio per lo sviluppo in sé di un’economia legata alle nuove – almeno per allora – tecnologie dell’informazione, ma le sole IPO (Initial public offer, in italiano Offerta pubblica di vendita) che rendevano ricchi immediatamente i primi investitori che monetizzavano, moltiplicandolo x volte, il capitale investito nella startup. 

Alan Greenspan, appunto, aveva avuto il coraggio di dire, già qualche anno prima di Schiller, che ci fosse un ottimismo diffuso immotivato circa l’andamento del mercato azionario che non poteva, in poche parole, crescere all’infinito. Insomma, anche per la finanza c’è un mondo finito dove le risorse sono limitate. Shiller però va oltre spiegando l’euforia con fattori non misurabili. In pratica solo interpellando economia, psicologia, demografia, sociologia e storia si potevano comprendere le oscillazioni di Borsa e soprattutto la creazione e lo scoppio di bolle speculative, le quali si formano e si alimentano grazie ad aspettative collettive di guadagni esagerati. Quando questi ultimi vengono meno, si ritorna alla realtà e ci si lecca le ferite pronti però a ripartire. 

Se però negli anni ‘90 dei motivi anche razionali di euforia ‘collettiva’ c’erano - il crollo del Muro di Berlino, lo scioglimento del blocco sovietico e la fiducia riposta nel progresso tecnologico e nell’apertura dei mercati e del commercio internazionale – in questi ultimi anni le buone notizie, da questo punto di vista, sono state sinceramente poche. Quel mondo fu scosso dall’attentato alle Torri Gemelle di New York dell’11 settembre 2001, data che segnò un prima e un dopo, ma un decennio di crescita economica l’aveva obiettivamente vissuto.  

Oggi la situazione geopolitica è però ancora peggiore di allora. Eppure, i listini delle principali Borse sono a livelli record, poco scalfiti da eventi importanti. Ci sono almeno due guerre in corso che riguardano direttamente l’Occidente o i valori su cui poggia, con esiti ancora incerti. Le tensioni internazionali, meglio ripeterlo, sono crescenti. Russia e Occidente, per semplificare, si guardano in cagnesco come mai prima. Sullo sfondo c’è anche lo scontro tra le due principali economie al mondo – Stati Uniti e Cina – che hanno anche ambizioni egemoniche antitetiche. Il populismo politico monta da anni da una parte e dall’altra dell’Atlantico senza che vengano affrontate le origini del malcontento di larga parte della popolazione. Negli Stati Uniti c’è grande imbarazzo per un affaticato Joe Biden che caparbiamente non vuole lasciare la corsa alla Casa Bianca. Il ritorno di Donald Trump quasi in carrozza, ancora più imbarazzante di Biden per le sue posizioni politiche e sociali, è quindi molto probabile. La Francia a una settimana dal voto non ha ancora chiarito l’assetto del futuro governo. Nemmeno i pizzini delle agenzie di rating sul merito creditizio della Francia, a rischio per l’elevato debito pubblico, hanno indebolito i mercati finanziari. Forse è di nuovo tempo di sfogliare il saggio di Schiller.