L'editoriale

La Giustizia, Gobbi e la dose di realismo

Il rilancio in tempi brevi dopo il no popolare alla Cittadella della Giustizia - Il ruolo del capo del Dipartimento delle istituzioni
Gianni Righinetti
29.11.2024 06:00

Dallo schiacciante no popolare, nella misura del 59,5%, alla Cittadella della giustizia sono trascorsi 170 giorni, per giunta inframmezzati dal periodo estivo da sempre frenatore dell’evoluzione di ogni attività. A maggior ragione quelle legate a gruppi di lavoro per strategie tutte da calibrare. Il «piano b» per dotare il potere giudiziario di un tetto e di strutture all’avanguardia, per uscire dall’attuale situazione caotica e indecorosa, sembrava essere una sorta di miraggio, invece oggi è realtà. A lavorare alacremente sono stati in particolare il Dipartimento delle istituzioni e quello delle Finanze e dell’economia, di concerto con il Consiglio della Magistratura. Ma quando si dice Giustizia si pensa in particolare a Norman Gobbi, già protagonista di progetti usciti con le ossa rotte come «Giustizia 2018» o evanescenti come «Ticino 2020», ma pure in rincorsa e anticipato dal Parlamento nel formulare idee di riforma dell’apparato giudiziario e oltretutto al centro di discussioni politiche per l’ormai famoso incidente in Leventina nel quale era rimasto coinvolto. Dopo tante nuvole, ecco allora un raggio di sole. Va riconosciuto al testardo Gobbi, strenuo difensore dell’acquisto dello stabile in marmo di EFG, ex sede della Banca del Gottardo, di avere virato senza tergiversare dopo la bocciatura del credito da 76 milioni di franchi e della previsione di un investimento complessivo vicino a 250 milioni per dare vita a una logistica che aveva una sua logica. Ma il popolo è sovrano ed è giusto prendere atto delle sue decisioni. Da una sede unica si passerà ora a un poker di blocchi distinti al quale andrà aggiunto un nuovo carcere sul piano della Stampa, dove trovano già spazio oggi le strutture detentive del Cantone. Gobbi e il Governo hanno rialzato la testa, dimostrando una virtù che in politica non è mai scontata. L’umiltà di imparare la lezione, di recepire le critiche emerse nel corso della campagna di voto su un progetto che aveva conosciuto una gestazione pluriennale e, sostanzialmente, era sempre stato destinato all’inconcludenza tra trattative, perizie e strategie non sempre condotte con lucidità. Quello che abbiamo sotto gli occhi oggi dimostra invece che c’è stata una prova di maturità e una determinata volontà di agire. Particolarmente lungimirante è la soluzione che propone spazi distinti per la Prima e Seconda istanza (TPC e CARP), dato che la critica, a ragion veduta, di vederli tutti sotto lo stesso tetto «a bersi magari il caffè assieme a metà mattina nel corso della pausa», non era poi così campata per aria. Ora si è deciso di investire nel mattone, prestando attenzione non solo al contenitore, ma anche alla strategia che meglio si presta a rendere efficace il contenuto, la macchina della Giustizia. Degno di nota è anche il fatto che lo stesso Gobbi, che alla luce dei fallimenti evocati in precedenza in tempi recenti si era trincerato dietro a una scusa non propriamente onorevole, parlando di «errori di gioventù», ora si è dimostrato aperto e collaborativo. C’è da scommettere che a questo progetto non verrà attribuito un «naming» con una data di scadenza o altisonanti concetti. Se non altro per una questione scaramantica. Non è più tempo neppure per «Supernorman» (in attesa che lasci per davvero l’anacronistica e assurda conduzione ad interim della sua Lega) per mettersi in prima linea in attesa di successi che sono stati scarsi su quanto messo in atto. Ma di condividere e collaborare. Meglio un successo condiviso, che un fallimento gravante tutto sulle proprie spalle. Sembra banale, ma è puro e semplice realismo.