L'editoriale

La meraviglia perduta e lo sguardo offuscato

Abituandoci, per pigrizia e autodifesa, anche alle cose peggiori erigiamo inconsapevoli un ostacolo serio, individuale e sociale, alla possibilità di lottare contro stupidità, crudeltà, sofferenza, spreco, corruzione, discriminazione e tirannia e incombenti nefandezze varie
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
28.06.2024 06:00

Qualche volta i vituperati anglicismi sono indispensabili. Anche perché in certi casi non sono soltanto intraducibili ma servono precisamente a descrivere qualcosa che la nostra magnifica lingua non riesce a spiegare e a circoscrivere in modo adeguato. Prendiamo ad esempio il «sense of wonder», concetto tanto caro ai poeti romantici alla Coleridge così come ai fumetti dotti alla Martin Mystère, che tradotto letteralmente con «senso del meraviglioso» non rende punto giustizia a quella fascinazione emotiva che non è propria soltanto della grande letteratura ma che dovrebbe essere concessa ogni giorno ai nostri orizzonti dell’anima, se solo non vivessimo in un’epoca dominata dal cinismo dell’autoinganno tecnologico somministrato per accentuare proprio gli aspetti meno «umani» del nostro modo di ragionare ormai fradicio di narcisismo, tribalismo e polarizzazione sociale.

Un progressivo smarrimento di empatia e reazione emotiva con le piccole e grandi esperienze della vita e del reale cui alcuni acuti filosofi emergenti, come il tedesco-coreano Byung-Chul Han di cui ci siamo occupati a più riprese, associano in maniera diretta il rapido, progressivo e preoccupante «instupidimento» della società occidentale. Invocando innanzi tutto l’urgenza di tornare a rivolgere uno sguardo puro alle cose concrete, modeste e quotidiane prima che questa massa di dati irreali, precari e non verificabili prenda definitivamente il sopravvento sulla natura, sulla biologia, sulla geografia e sulla ragione del nostro esistere. Sudditi di una massa sfuggente e confusa di stimoli inutili e incapaci di andare oltre la superficie stiamo insomma perdendo l’unica vera libertà che è quella di imparare a pensare.

Ma ormai alle considerazioni filosofiche si aggiungono, allarmanti, anche gli esiti delle sempre più accurate neuroscienze che, dando spesso una configurazione razionale a quello che il buonsenso già dovrebbe indurci a sospettare, fotografano impietosamente le derive contemporanee di un Homo sapiens purtroppo sempre meno sapiens. Come nel caso del bel saggio di due studiosi di fama mondiale, Tali Sharot e Cass R. Sunstein, frutto di una ricerca decennale in psicologia e biologia, appena tradotto in italiano per i tipi di Cortina con il titolo Guardate meglio. Perché l’abitudine ci rende ciechi, in cui si evidenziano i rischi, non solo per la felicità umana ma persino per le strutture democratiche e civili di ogni società liberale postmoderna, della nostra manifesta incapacità di reagire al fisiologico, e in natura e nel processo evolutivo peraltro utilissimo, meccanismo dell’ «abituazione».

Per moltissime ragioni oggi, secondo gli autori dello studio, ci «abituiamo» troppo in fretta, il che significa che rispondiamo sempre meno a stimoli che si ripetono. Così, non soltanto quello che è emozionante il lunedì diventa noioso il venerdì e una relazione, un lavoro, un brano musicale, un’opera d’arte o un cibo perdono il loro smalto dopo un po’, ma abituandoci, per pigrizia e autodifesa, anche alle cose peggiori erigiamo inconsapevoli un ostacolo serio, individuale e sociale, alla possibilità di lottare contro stupidità, crudeltà, sofferenza, spreco, corruzione, discriminazione e tirannia e incombenti nefandezze varie. E se fosse possibile ristabilire quel «sense of wonder» per le cose che non si percepiscono o non si notano più? Se fosse possibile, in qualche misura «disabituarsi», per apprezzare il valore delle «cose belle» e per non smettere di combattere in ogni modo il diffondersi di «quelle brutte»? Come ci dovrebbe insegnare almeno la tragica Storia del Novecento, il collasso della libertà e della legalità non si verifica dalla sera alla mattina, si verifica per piccoli incrementi, alcuni dei quali sembrano relativamente insignificanti. Il problema è mantenere nonostante tutto lo sguardo lucido e riuscire a non abituarsi.