L'editoriale

La politica discute, ma la crisi si allarga

Il fatto che a Berna si continui a discutere, anche in maniera vivace, su quel che resta - dopo varie batoste - del sostegno ai media potrebbe perfino essere interpretato positivamente: il problema, dunque, esiste davvero
Paride Pelli
24.09.2024 06:00

Il fatto che a Berna si continui a discutere, anche in maniera vivace, su quel che resta - dopo varie batoste - del sostegno ai media potrebbe perfino essere interpretato positivamente: il problema, dunque, esiste davvero, non solo per gli editori e per chi lavora in questo settore in crisi, ma anche agli occhi dei politici, che di solito si accorgono della preziosa esistenza del giornalismo indipendente solo in campagna elettorale o quando devono condurre qualche battaglia politica specifica. Ancora una volta, tuttavia, dalla seduta di ieri in Parlamento - dove all’ordine del giorno del Nazionale c’era una riflessione sull’adeguamento degli importi del sostegno indiretto alla stampa - è uscita soltanto, per il momento, una presa di consapevolezza della profonda difficoltà in cui versa il settore in tutto il Paese. Vedremo nei prossimi giorni (il dibattito si chiuderà dopodomani) se prevarrà la volontà della politica di tagliare ulteriormente sulle uscite o l’esigenza di avere un sistema mediatico all’altezza di un Paese come la Svizzera. Le ultime notizie «dal fronte» sono drammatiche, ça va sans dire. Testate di livello nazionale continuano a compiere scelte drastiche: alcune optando direttamente per la chiusura, altre per tagli nella carne viva della struttura aziendale (lavoratori a casa). Altre ancora hanno deciso di anticipare la chiusura delle pagine e la stampa, lasciando l’attualità serale, in particolare quella sportiva, ai siti web, scatenando le proteste dei club. E ci sono testate, addirittura, che dichiarandolo senza troppi scrupoli affidano la stesura di alcuni articoli all’intelligenza artificiale. Una deriva (evitabile) di cui non si vogliono vedere le conseguenze politiche e culturali. Scelte che testimoniano, oltre la necessità di risparmiare e di ottimizzare, anche una certa rassegnazione da parte di chi i media tradizionali li possiede, li gestisce o, per mandato civile e politico, li dovrebbe sostenere, in quanto strumento ancora insostituibile di democrazia e pluralismo. 

 Ci sarebbe la tanto acclamata «svolta digitale», ma questa, complice un bacino di mercato limitato, specie nella Svizzera italiana, risulta difficile da mettere in atto nella Confederazione e solo abbassando sensibilmente i prezzi degli abbonamenti si riescono a ottenere numeri lusinghieri - ma comunque non sufficienti a coprire le spese - sul digitale. Obbedendo peraltro, in non pochi casi, a una cultura giornalistica che poco si adatta a un Paese sfaccettato come il nostro. Una situazione molto complicata a cui si aggiunge il problema della distribuzione, per quanto riguarda sia l’aspetto dei costi, sia purtroppo quello del servizio, con giornali depositati nella buca delle lettere degli abbonati ormai a pomeriggio inoltrato. Sul (presunto) servizio pubblico della Posta abbiamo già scritto con amarezza su queste colonne e non vogliamo ripeterci per non risultare stucchevoli. Ma, come ci ha scritto Ovidio Biffi, nostro abbonato che riceve il giornale in bucalettere alle 13.15, «l’azienda di pubblico servizio tiene tra le proprie mani il giornale per circa dodici ore dal ritiro alla consegna. Ebbene, se quel giornale giungesse agli abbonati di buon mattino o comunque prima che tutta la popolazione inizi a smanettare su cellulari, tablet e pc, sono più che sicuro che avrebbe ancora una impagabile fragranza, autorevolezza e importanza. Invece, restando nelle mani della Posta, finisce ogni giorno per perdere qualcosa». Eccolo lì il cuore del problema. Nonostante i media cartacei servano ancora una quantità rilevante di popolazione svizzera e nonostante rappresentino con il loro indotto un settore economico di innegabile peso, l’impressione è che la politica, e di riflesso la Posta, abbia la tentazione di decretarne in anticipo la fine. Forse, più di lunghi dibattiti, servirebbe (solo) un servizio pubblico all’altezza e un po’ di buonsenso.