La politica si muove, la Posta si adegui
Ieri Berna ha dato un segnale di presa in carico di un problema che, in una democrazia come quella elvetica, riguarda tutti noi, nessuno escluso, anche chi i giornali di carta – ci sia permesso: sbagliando – non li legge più. In poche parole, il Consiglio degli Stati ha votato a larga maggioranza per l’entrata in merito sul progetto per il sostegno alla stampa regionale e locale. L’idea di fondo che ha spinto la maggior parte dei senatori a votare a favore è che la stampa deve sì trovare la propria via all’interno della transizione digitale, e ci mancherebbe non fosse già impegnata a trovarla, ma che nel frattempo vada anche sostenuta. Non per mero favoritismo o per interesse politico, ma per garantire il pluralismo dei media, cioè la democrazia stessa così come la conosce, e la apprezza, ogni residente del nostro Paese. Il giornalismo cartaceo, infatti, è una colonna portante del mondo complessivo dell’informazione, per metodo, contenuti e pubblico di riferimento: se lo si lascia andare alla deriva o in alcuni casi affogare, se si dà via libera solo ai monopoli digitali, non di rado stranieri, anche tutto il resto del settore informativo finisce paradossalmente a rischio. La transizione digitale non andrebbe vissuta come una ineluttabile strada a senso unico: dovrebbe piuttosto essere una piazza aperta a tutti, a chi legge un giornale come a chi si rivolge all’online, magari per mettere i due lettori in comunicazione l’uno con l’altro, affinché si scambino le rispettive idee e ne discutano. Se tutti tengono lo sguardo fisso sempre e solo sul proprio smartphone, la società, e di conseguenza la politica, non può che risentirne. Il senso alto, culturale, degli aiuti alla stampa, compresi quelli dibattuti ieri a Berna, dovrebbe essere proprio questo.
C’era un preoccupante disallineamento, prevedibile già a settembre scorso, tra gli Stati e il Nazionale. Alla fine gli importi stabiliti da quest’ultimo son stati corretti verso il basso: i contributi annui per la stampa regionale e locale scendono da 45 milioni a 40, quelli per il recapito mattutino previsti dal progetto sono stati portati da 30 a 25 milioni. Mantenuti, invece, i contributi alla stampa associativa e delle fondazioni (20 milioni). C’è chi ha gridato allo scandalo, poiché le casse dello Stato non sono floride. Nell’ottica del bilancio federale, però, queste sono somme sostenibili, a meno che non si decida di lasciare deliberatamente la conversazione democratica e l’informazione territoriale in mano a pochi o pochissimi attori e ai sempre più problematici social media. Dettaglio importante: le misure approvate agli Stati, limitate a un tempo di sette anni, non sono definitive. Se ne discuterà ancora nella prossima sessione primaverile e l’iter parlamentare sarà quantomeno tortuoso, ça va sans dire. Si potrà vederle finalmente messe in atto, qualora non ci fossero più intoppi, solo nel 2026. Tempi lunghi, lunghissimi, per un settore che da anni sta fronteggiando una crisi sistemica, con decine di testate scomparse e licenziamenti a raffica, in particolare nel post pandemia. Ma come si diceva, da Berna un segnale è quantomeno arrivato: il problema esiste ed è stato riconosciuto, le soluzioni vanno pensate e confrontate, fermo restando che nei prossimi sette anni le difficoltà dei media tradizionali non si alleggeriranno come d’incanto.
Anche perché non è detto che questi (eventuali) sostegni, limitati appunto a un settennio, riescano a risolvere disfunzioni e disservizi che si stanno rapidamente radicando nel settore: ad esempio, la sempre più tardiva consegna dei giornali, che spesso giungono al lettore ben oltre il limite delle 12.30 (e ancora ieri ne abbiamo avuta conferma, con copie del nostro giornale distribuite a pomeriggio inoltrato). I 25 milioni destinati al già citato recapito mattutino potranno incidere poco se anche la Posta, che è un servizio pubblico della Confederazione, non farà la sua parte, cessando una resistenza che sta diventando sempre più ideologica. E non dimentichiamo infine che in Ticino il cosiddetto servizio «Presto» - quello appunto che prevede la consegna dei giornali all’alba - non è contemplato, ragion per cui il nostro cantone (ma anche il Vallese e i Grigioni, per citare qualche esempio) è vittima di quella che appare come una vera e propria discriminazione nei confronti delle regioni periferiche, che semplicemente non hanno la massa critica per potersi «meritare» un servizio di questo genere. Allo stesso modo, i singoli Cantoni dovrebbero pure chinarsi sul problema: l’informazione di prossimità, che viene diffusa soprattutto su cartaceo, è innanzitutto una importante questione territoriale. Il segnale giunto ieri da Berna possa essere di stimolo anche per loro.