L'editoriale

La politica tra servizio pubblico e dividendi

Oggi, tra i politici, c’è chi mette in guardia «sulla desertificazione postale ed erosione sociale» e chi invece comprende il pragmatismo messo in campo dalla Posta
Paride Pelli
10.09.2024 06:00

Prosegue senza pausa lo smantellamento della Posta così come l’abbiamo conosciuta. Entro quattro anni altri 170 uffici postali verranno trasformati in agenzie. Le filiali verranno ridotte da 768 a 600. In Ticino, su 59 uffici ne chiuderanno una dozzina. Una tendenza avviata già nel lontano 1998, dopo lo scioglimento delle PTT che diede vita a due aziende, La Posta appunto e Swisscom, con subito una robusta riduzione del numero degli uffici postali sul territorio svizzero, da 3.500 a 2.500. Oggi, tra i politici, c’è chi mette in guardia «sulla desertificazione postale ed erosione sociale» e chi invece comprende il pragmatismo messo in campo da un’azienda che deve innanzitutto «garantire dividendi» alla Confederazione, che ne è proprietaria. Si sono creati due schieramenti a prima vista inconciliabili e una situazione divisiva che di svizzero ha poco o nulla. Si può essere favorevoli oppure contrari ai tagli e al ridimensionamento della Posta, ma per lo meno inedita è questa modalità che alla fine non farà bene a nessuno. Se non, ça va sans dire, a chi incassa i bonus per gli obiettivi raggiunti. In una intervista pubblicata domenica scorsa e che ha fatto molto discutere, il direttore generale della Posta Roberto Cirillo ha dichiarato che la strategia aziendale «così come è stata definita rimane valida». Riguardo gli interventi parlamentari che chiedono l’abbandono di questa ristrutturazione, Cirillo ha commentato, in ossequio alla politica, che è «giusto e importante» che le Camere discutano della Posta in questa sessione autunnale. Ma, ha aggiunto, «alla fine la rotta verrà mantenuta». Ora, bisogna certamente dire che i tempi cambiano. Ogni azienda, se vuol continuare a svilupparsi, deve tenerne conto. Ma tenerne conto, soprattutto se si è un’azienda che si occupa di un servizio pubblico di fondamentale importanza sociale, culturale e politica, non vuol dire adeguarsi a una visione esclusivamente commerciale di cui, peraltro, non sono chiari né i contenuti né i contorni. Infatti, occorre constatare che c’è troppa ambiguità quando si parla degli obiettivi aziendali che la Posta deve perseguire in ottemperanza ai mandati ricevuti da Parlamento e Consiglio federale.

Un servizio pubblico - osiamo pensare alla Posta ancora in questi termini - deve accompagnare lo sviluppo sociale ed economico di una nazione, senza lasciare indietro nessuno e senza rincorrere un fantomatico «futuro» che spesso è definito solo nella mente di pochi. Prima di proseguire con ulteriori tagli sarebbe bene fermarsi un momento e tentare di spiegare a tutta la popolazione - e la politica così come la Posta hanno i mezzi comunicativi adatti allo scopo - dove si vuole andare. Tale silenzio da parte dei decisori è preoccupante. Per i cittadini, e anche per le aziende che con la Posta ci lavorano ogni giorno. È il caso, ad esempio, del nostro Corriere del Ticino. Di questi tempi, a settembre dell’anno scorso, commentavamo su queste colonne l’idea di far cadere il limite delle 12.30 per la consegna dei quotidiani. Scrivevamo che l’intenzione, se attuata, sarebbe stato un ulteriore colpo al giornalismo cartaceo e indirettamente alla democrazia elvetica così come le generazioni precedenti si sono impegnate a tramandarcela: un luogo di confronto e di discussione per tutti, sia per chi si informa sul cartaceo sia per chi lo fa online. L’attuazione dell’idea venne sospesa, in teoria. In pratica, a maggio di quest’anno ci siamo trovati a dover segnalare che la Posta, in alcuni contesti, aveva iniziato a consegnare il giornale più tardi del solito, se non molto più tardi. Servirebbe, lo ribadiamo, un intervento forte da parte innanzitutto della politica, che però, sedotta dai dividendi, utili anche per iniziative sociali (leggi: elettorali), a quanto pare non riesce a tenere la barra dritta. Difficilmente, da questo punto di vista, il Governo avrà in futuro la forza di ridiscutere i mandati alla Posta, di cui alla fine Cirillo è un mero esecutore, per quanto interessato.

È discutibile, però, che pochi giorni fa il Governo abbia preso posizione contro gli aiuti indiretti ai media, chiedendo al Parlamento di non entrare nel merito. La nostra democrazia vive innanzitutto di un’offerta informativa capace di raggiungere ogni residente e di attivare discussioni che, se lasciate solo ai social media o ad altri attori, finirebbero con defraudarla della sua peculiare sostanza. Dove va un servizio pubblico come la Posta non è solo un problema di dividendi o di tagli, ma politico e culturale nel senso più alto di queste parole. Anziché mettere il carro davanti ai buoi e affermare che «la strategia non si cambia», soprattutto in un mondo che va troppo in fretta e forse da nessuna parte, sarebbe meglio, ogni tanto, considerare che per un servizio pubblico il processo ha la stessa importanza degli obiettivi. Se non di più.