La Posta e le parole di Cirillo nel silenzio assordante
Poco più di un anno fa il CEO della Posta Roberto Cirillo lanciò quella che tutti intesero come una provocazione o al massimo un ballon d’essai: eliminare il limite delle 12.30 per la consegna dei quotidiani. Molti abbonati ci scrissero subito preoccupati. Li tranquillizzammo, rispondendo che la Posta è un servizio pubblico della Confederazione e che tale sarebbe rimasto per ogni residente. Settimane dopo, ci pentimmo del nostro ottimismo. Non pochi lettori iniziarono a segnalarci, infatti, che il Corriere del Ticino stava arrivando nelle bucalettere più tardi del solito, a volte molto più tardi. In altre parole, la «provocazione» di Cirillo si era presto trasformata in dolorosa realtà. Ieri, il direttore generale della Posta se n’è uscito con altre dichiarazioni da far tremare le ginocchia e, ci sia permesso, da far dubitare circa la neutralità commerciale del servizio pubblico di consegna postale. Intervistato dal settimanale della Coop, Cirillo ha detto che «contrariamente ai quotidiani, Cooperazione ha una vita più lunga per tutta la famiglia: le notizie vengono lette sull’arco di una settimana e quindi marcano in modo decisivo il ruolo della carta stampata nelle case». Già questa prima osservazione contiene errori grossolani. A livello giornalistico, ça va sans dire, un settimanale è ben differente da un quotidiano: mentre quest’ultimo informa, aggiorna e approfondisce, il settimanale dà per scontata la conoscenza di molte notizie e fa un lavoro di tipo diverso. Se poi è un settimanale legato alla grande distribuzione, esso è anche vincolato a legittime e comprensibili scelte aziendali e commerciali. Il quotidiano, invece, storicamente fornisce una informazione gerarchizzata con criteri diversi, e continua a farlo anche oggi, nonostante l’insidia dei social e della Rete in generale. In sintesi, il quotidiano vende solo sé stesso. Ha un ruolo difficile ma eminente. Ma fin qui passi, Cirillo non è obbligato a conoscere tutti i prodotti che la Posta distribuisce. Il peggio arriva con una sua seconda dichiarazione: «A differenza dei quotidiani, che richiedono una consegna entro le 12.30 (creando sfide a noi della Posta, in quanto per esempio non possiamo offrire posti di lavoro al 100%), Cooperazione ci lascia maggior spazio di manovra e viene distribuito con la posta normale». Parole da cui si evince che, insomma, se la Posta non riesce a organizzare il proprio lavoro interno e a prendere in carico seriamente «la sfida» della distribuzione dei quotidiani entro orari che non li danneggino, la responsabilità è dei quotidiani stessi, che hanno la colpa di esistere e di avere degli abbonati che vogliono leggerli. Magari all’ora della colazione e non dopo pranzo.
La gravità nascosta tra le righe di questa dichiarazione è un segnale inquietante, non solo per chi i giornali li pensa, li organizza, li stampa tra mille difficoltà, ma anche per i lettori degli stessi quotidiani, che vengono fatti passare come bizzose persone un po’ retrò, affezionate a un supporto cartaceo che potrebbe essere tranquillamente soppresso, forse a favore dei settimanali, fino a quando questi non saranno da sopprimere a favore dei mensili, affinché la Posta faccia meno fatica (sebbene pagata e non poco) e riesca a dare un ulteriore giro di vite - con scarso ingegno e scarsa responsabilità civile, ci sia di nuovo permesso aggiungere - alla propria contabilità interna. E magari assicuri, va detto anche questo, qualche ulteriore bonus ai dirigenti che hanno tagliato con più decisione su tutti quei servizi che sono e si presume debbano rimanere pubblici. È lo stesso Cirillo, nell’intervista, a raccontare come per la Confederazione la Posta «sia stata uno dei primi segnali lanciati al Paese per dire che si voleva diventare un Paese unito, al servizio di tutti». Ci chiediamo se sia ancora così. Stupisce, ad ogni modo, che a ogni uscita di questo tipo da parte del direttore generale della Posta, la politica non abbia quasi mai niente da dire né da commentare. Anzi, sia remissiva. Salvo poi accorrere nelle redazioni dei quotidiani nei momenti clou delle campagne elettorali. A fronte di tutto questo, ci tocca ricordare che i quotidiani sono ancora vivi e vegeti, sebbene alle prese con non poche difficoltà, e hanno un proprio lettorato importante e attento, che rappresenta una fetta di peso (o «non trascurabile», come si dice oggi) della popolazione che va a votare. La Svizzera è ancora una democrazia e il giornalismo è parte integrante di essa. Se le parole di Cirillo - ad esempio queste: «Laddove la domanda diminuisce in modo esponenziale, vogliamo adattare le forme del servizio che offriamo» - venissero per ipotesi applicate alla Sanità, lo sdegno della politica sarebbe alto. È ben strano che chi la democrazia dice di volerla difendere e sostenere non abbia, oggi, nulla da dire alla e sulla Posta in quello che è sempre più un silenzio assordante.